Julia si trovava al centro della stanza d’ospedale, il suo piccolo miracolo tra le braccia. Nikita, avvolto in una coperta azzurra, dormiva placidamente, il suo respiro leggero e regolare. La gioia di essere madre l’aveva finalmente travolta, ma la sorpresa di Artem l’aveva colpita come un fulmine.
“Non ti porto a casa senza un test del DNA”, aveva detto lui, senza alcun segno di incertezza. Le parole gli rimbombavano nella testa. Julia guardava il piccolo e sentiva il peso delle sue parole come un macigno sul cuore.
La porta si aprì, e la infermiera si avvicinò gentilmente, offrendole aiuto. Julia, con la voce tremante, rifiutò.
— “Sto bene, posso farcela”, — mormorò, mentre stringeva Nikita al petto e tirava fuori il telefono dalla tasca.
Cinque giorni erano passati da quando era arrivata in ospedale, giorni in cui aveva immaginato Artem che li accoglieva con un sorriso felice. Si immaginava il suo abbraccio, ma ora tutto era cambiato.
Guardò il messaggio di Artem sul telefono. “Sto arrivando. Non uscire senza di me”. Un sorriso triste le sfiorò il viso. Sapeva che Artem amava sorprenderla, ma ora non c’era più spazio per i sogni felici.
Il bambino si mosse, emettendo dei piccoli rumori, e Julia lo guardò: Nikita, il frutto della loro pazienza e speranza. Quasi sette anni di lotte, e finalmente ce l’avevano fatta.
Un nuovo messaggio da Artem le fece stringere i denti: “Per favore, fai il test, o non ha senso che ci vediamo”. Julia lesse le parole, senza riuscire a capire come fosse possibile. Non credeva a ciò che stava leggendo.
“Artem? Stai scherzando?” sussurrò, ma nessuno rispose.
Poco dopo, il telefono squillò. Julia rispose, ma la voce di Artem, calma e distante, la fece infuriare.
“Mi serve certezza”, spiegò lui, senza capire il dolore che causava.
“È tuo figlio!” gridò Julia, ma Artem rimase fermo nella sua posizione. Disperata, Julia decise di chiamare sua madre. Dopo un po’, la macchina di Elena Sergeyevna si fermò davanti all’ospedale, e Julia, con Nikita tra le braccia, si preparò a tornare a casa, senza guardarsi indietro.