Nel piccolo villaggio immerso nella neve, quando il cielo si confondeva con la terra e la notte sembrava infinita, Tatiana avanzava lentamente lungo il sentiero ghiacciato. I suoi piedi si ricordavano di ogni buca, ogni crepa sotto la crosta gelata, come se il paesaggio stesso abitasse la sua memoria.
Il vento soffiava tra i rami spogli, portando con sé l’odore acre della legna bruciata. Ma quella sera, insieme a quell’odore consueto, ve n’era un altro: ferroso, crudo, come un sussurro di sangue. Un sentore così sottile che nessuno, tranne lei, avrebbe potuto percepirlo. Ma per Tatiana, era come un grido.
Si fermò. Il suo bastone toccò qualcosa. Non ghiaccio. Non neve. Qualcosa di caldo, morbido. Un corpo.
Lì, disteso nel gelo, c’era un uomo. Ancora vivo. Il respiro debole gli usciva dalle labbra screpolate come vapore, e il suo volto, sebbene sconosciuto, faceva tremare qualcosa dentro di lei.
Il suo cuore accelerò. I ricordi, come un branco di lupi, si svegliarono all’improvviso: un’altra notte, un’altra figura, il sangue, la perdita. Il passato che lei aveva sepolto sotto strati di silenzio e solitudine si stava insinuando di nuovo, senza pietà.
Si chinò lentamente, le mani tremanti, e sfiorò il viso dell’uomo. Aveva le palpebre chiuse, ma le sue ciglia erano bagnate di gelo, e le dita di Tatiana percepirono una cicatrice familiare. No, non poteva essere…
Un nome le salì alle labbra, ma non osò pronunciarlo. Il tempo aveva tolto molte cose, ma non quel dolore che ora, come una lama, si riapriva in lei.
Eppure, non fuggì. Non lo lasciò lì. Chiamò il cane, che finora l’aveva seguito silenziosamente, e insieme, con sforzo e fatica, trascinarono l’uomo verso la capanna. Il camino era ancora acceso. Il letto, vuoto da anni, avrebbe accolto di nuovo un corpo.
Ma questa volta, Tatiana lo sapeva: niente sarebbe più come prima.