Per il mio compleanno ho ricevuto… un mazzo di fiori appassito.
Li trovai sulla tavola del soggiorno, sistemati con una premura quasi grottesca in un vecchio vaso scheggiato. I petali erano cadenti, le foglie secche ai bordi. Avevano il tipico odore dolciastro e marcio dei rifiuti dimenticati.
— Da dove vengono i fiori? — chiesi freddamente a mio marito.
Lui, placido come sempre, sorseggiava il caffè, lo sguardo assente.
— Dal nostro cestino?
— Qualche idiota li ha buttati fuori prematuramente. Resisteranno ancora due settimane — disse con tranquillità. — Sono dei bei fiori…
— Hai deciso di regalarmi dei fiori presi da un bidone della spazzatura? È tutto ciò che merito?
— In realtà, non è un regalo per te. Ti avevo detto che non avrei preso nulla. Solo per bellezza.
Scrollò le spalle, come se fosse la cosa più normale del mondo. Era tutto lì: l’assenza di rispetto, di calore, di qualsiasi forma di empatia. Un uomo che considerava il mio compleanno un fastidio logistico.
Mi sentii come una vecchia fotografia dimenticata in un cassetto. Non dissi nulla. Me ne andai in camera e piansi. Ma non fu solo tristezza. C’era qualcosa di più cupo, un seme che cominciava a germogliare.
I fiori rimasero lì per due giorni, poi lui stesso li ributtò dove li aveva trovati: sopra il coperchio del bidone. Senza una parola.
Io però non dimenticai.
E iniziai a pianificare.
Il suo anniversario arrivò due mesi dopo. Un sabato mattina. Si svegliò con la casa stranamente silenziosa. Nessun profumo di caffè, nessuna colazione pronta. Ma trovò un biglietto in cucina.
“Un regalo per te. In garage.”
Curioso e con l’aria già infastidita, scese. Aprì la porta del garage. E rimase immobile.
Davanti a lui c’era un pacco grande, avvolto malamente in carta da imballaggio, con un enorme fiocco rosso. Sul fianco, un’altra nota:
“Attento. È fragile. E prezioso.”
Lo aprì. Dentro trovò… una sedia. Ma non una sedia qualsiasi. Era la sua adorata poltrona da relax, quella su cui passava ore a guardare la TV, a dormire, a ignorarmi. Rivestita con sacchi della spazzatura. Incollati. Cuciti. Ogni cuscino era stato svuotato e riempito con… bucce di patate, pezzi di pane vecchio, lattine schiacciate e fogli unti di pizza.
In cima al tutto, un vecchio telecomando con scritto sopra con il rossetto:
“Ti ho regalato ciò che ritenevi sufficiente per me.”
Lui urlò il mio nome. Ma io non risposi. Me ne stavo in cucina, bevendo il mio caffè, sorridendo piano.
Quando finalmente salì, pallido, furioso, mi trovò a leggere il giornale.
— Sei impazzita?
— No, amore. Ho solo fatto qualcosa di bello. Solo per bellezza, sai?
Non ne parlammo più. Lui non mi regalò più fiori. Io non gliene chiesi mai più.
Ma da quel giorno… c’è stata una nuova forma di rispetto.
Il tipo di rispetto che nasce dalla paura sottile. Quella che si respira solo quando hai visto cosa può fare una donna con il cuore spezzato.