Una sera piovosa d’autunno, quando il cielo era coperto da spesse nuvole e il mondo intero era dipinto di cupi toni grigi, stavo tornando a casa dopo una giornata estenuante di lavoro. All’improvviso, tra il rumore della pioggia e il rombo delle auto, udii uno strano, acuto grido. Si distingueva dagli altri suoni, come se qualcuno stesse chiedendo aiuto.
Mi fermai e ascoltai. Il suono proveniva da dietro i cespugli vicino al parco giochi. Avvicinandomi, ho visto… un corvo. L’uccello era bagnato, tremava tutto il corpo e un’ala pendeva in modo innaturale. Ma la cosa più importante è che mi ha guardato. I suoi occhi neri erano vivi, pieni di dolore e di una strana speranza.
“Sei nei guai, amico”, sussurrai.
Lo portai a casa e, giorno dopo giorno, lo curai. Lo chiamai Araks. La nostra routine divenne una strana danza domestica tra uomo e creatura selvatica. Cominciammo a capirci, a modo nostro. Lui gracchiava, io interpretavo. Lui volava, io osservavo. Sembrava solo un animale ferito. Ma non lo era.
Dopo un mese, Araks se ne andò. Pensai fosse tutto finito lì. Ma il giorno dopo, sul davanzale, c’era qualcosa. Una pietra nera e lucente, con venature rossastre che sembravano pulsare, viva. Accanto, un foglio di carta stropicciato. Non l’avevo scritto io. Non era scritto nemmeno in una lingua conosciuta.
Quelle lettere sembravano contorcersi davanti ai miei occhi:
dlzhℍi iℍtℍg z dl p ℍt…
Appena toccai la pietra, vidi. Non sogni, non immagini. Ricordi. Non miei.
Ricordi di cieli lividi sopra montagne senza nome, rituali attorno a fuochi verdastri, creature alte due metri con volti di piume e artigli affilati, che parlavano nel vento e scrutavano nelle menti.
Araks… non era un corvo. Era un messaggero. Un ponte. Un emissario. E io, salvandolo, avevo firmato un patto non scritto.
Da quel giorno, ogni notte sogno le stesse montagne. Ogni mattina, trovo nuovi simboli sul vetro appannato. E Araks torna. Sempre con un altro frammento. Sempre con un altro segreto.
E ciò che ho scoperto l’ultima notte…
È qualcosa che non si può dire ad alta voce.
Nemmeno scriverlo qui.
Nemmeno pensarlo troppo a lungo.