Mi guardò ancora una volta, poi lasciò sul cuscino un’altra piuma — questa, lucida come vetro nero

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La mattina dopo, aprendo gli occhi, notai qualcosa di luccicante sul davanzale della finestra. Avvicinandomi con cautela, scostai la tenda e vidi un piccolo oggetto dorato, incastonato con una pietra scura che sembrava assorbire la luce del sole. Accanto, un altro regalo: una piuma di Araks, ma annerita, come bruciata.

Quando toccai l’oggetto, una scossa mi percorse il braccio. Non era elettricità. Era… presenza. Sentii come un respiro caldo sul collo, un sussurro che mi sfiorava il cervello. Parole che non capivo, ma che afferravo con l’anima.

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Quella notte iniziarono i sogni.

Non sogni normali. Sogni chiari, definiti, intensi. In essi camminavo in una foresta antica, sotto un cielo viola, circondato da occhi neri sospesi tra i rami. Araks mi guidava, ma non era più un semplice corvo. Era alto, sottile, con un mantello di piume e occhi umani, antichi, impassibili.

“Il tuo gesto ha aperto una porta,” disse. “E ora devi vedere ciò che gli altri non possono.”

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Mi svegliai col cuore in gola. La pietra nera dell’oggetto brillava sul comodino. Un bagliore interno, come brace. Non era un sogno.

Da quel giorno le cose cambiarono. Potevo sentire i pensieri degli altri. Non come parole, ma come emozioni pure: paura, desiderio, rabbia, menzogna. Bastava uno sguardo. Mi accorsi che il mondo era più corrotto di quanto avessi mai immaginato. Che dietro ogni sorriso, dietro ogni “sto bene”, c’era qualcosa di marcio.

Poi, cominciarono a comparire le ombre. Figure senza volto, visibili solo con la coda dell’occhio. In casa, nei corridoi, nei sogni. Sembravano legate all’oggetto. Sembravano osservarmi.

Una notte, Araks tornò. Si posò sul mio letto e, per la prima volta, parlò. La sua voce era un eco nella mia mente.

“Hai visto. Hai sentito. Ora devi scegliere.”

“Scegliere cosa?”

“Tenere il dono… o restituirlo.”

“E se lo tengo?”

“Saprai. Ma sarai solo.”

“E se lo restituisco?”

“Dimenticherai. Ma non sarai mai più completo.”

Mi guardò ancora una volta, poi lasciò sul cuscino un’altra piuma — questa, lucida come vetro nero.

Scelsi di tenere il dono.

Da allora non sogno più. Ma vedo troppo. Sento troppo. Le ombre mi osservano ancora, ma non fanno più paura. Perché ora so cosa sono. So cosa Araks ha portato.

E no… non posso dirtelo ad alta voce.

Non si può pronunciare qualcosa che vive tra i pensieri.
Può solo essere sentito.

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