Tra le rovine della speranza, un uomo solo ritrova la fiamma della vita dove non credeva potesse più bruciare.

Advertisements

 

La neve cadeva come cenere lenta da un cielo stanco, ricoprendo tutto in un silenzio ovattato. Su una panchina ghiacciata, un uomo sedeva curvo, avvolto in un cappotto logoro che non bastava più a scaldarlo. Si chiamava Giovanni, e da pochi giorni non aveva più un tetto, né qualcuno che lo aspettasse.

Advertisements

Fino a poco tempo prima era un padre, un uomo che aveva costruito muri, sogni, ricordi. Ora, quei muri gli erano stati tolti. Suo figlio, Lorenzo, gli aveva parlato senza esitazioni:

— Papà, Giulia ed io abbiamo bisogno dei nostri spazi. Sei ancora in forze, puoi cavartela. Trovati una stanza, no?

Advertisements

Non erano tanto le parole ad averlo ferito, ma il modo. La freddezza. L’assenza totale di esitazione. Anni prima, aveva firmato dei documenti affidandosi alla fiducia. Oggi, quella fiducia si era trasformata in esclusione.

Non fece scenate. Non pianse davanti a loro. Si alzò, indossò il vecchio cappotto e se ne andò in silenzio. La dignità non grida, si ritira.

Quel giorno, la città sembrava dimenticarlo. I passanti, le macchine, il tempo stesso gli scivolavano accanto come se non esistesse. Eppure, qualcosa accadde.

Una zampa calda lo sfiorò. Giovanni guardò in basso: un cane, grosso e robusto, dal pelo scuro e dagli occhi straordinariamente espressivi, lo stava fissando. Teneva tra i denti l’estremità del suo cappotto, come a dirgli: “Vieni”.

— Mi hai trovato tu, eh? — sussurrò Giovanni.

Senza sapere perché, si alzò e lo seguì. Camminarono fianco a fianco, tra marciapiedi innevati e alberi spogli. Il cane sembrava sapere esattamente dove andare. Si fermò infine davanti a una villetta semplice, con la luce accesa dietro una tenda a fiori.

La porta si aprì.

— Barone! Ma guarda dove sei finito! — Una donna dai capelli raccolti e un vecchio scialle alle spalle lo accolse sorridendo. Poi vide Giovanni. Il suo sorriso scomparve, sostituito da una preoccupazione dolce.

— Oh, pover’uomo… venga subito dentro!

Lo prese sotto braccio e lo aiutò a entrare. Il calore della casa lo avvolse come una coperta dimenticata. Odore di legna, caffè e pane appena sfornato.

— Mi chiamo Chiara. Vuole una tazza di qualcosa di caldo?

— Giovanni… — rispose lui, tremante. — Grazie. Non volevo disturbare.

— Nessun disturbo. Barone ha scelto lei. E lui non sbaglia mai.

Mentre beveva il caffè, Chiara lo ascoltava. E Giovanni parlò. Non con rabbia, ma con quella stanchezza lenta di chi ha perso tutto senza avere colpe da espiare. Raccontò di suo figlio, della casa, del senso di essere diventato invisibile.

Chiara non lo interruppe. Poi disse:

— Può restare. Non per una notte. Per il tempo che le serve. Io e Barone siamo silenziosi, ma… forse un po’ di silenzio condiviso fa bene anche a lei.

— Non voglio essere un peso…

— Allora non lo sia. Solo… resti. Respiri.

I giorni divennero settimane. E i mesi scivolarono via come neve al sole. Chiara aiutò Giovanni a ritrovare la voce, a rimettere insieme i suoi diritti. Un avvocato, qualche carta, e tutto fu chiaro: la casa, legalmente, gli apparteneva ancora. Ma lui non tornò.

— Quella casa ha pareti fredde adesso, — disse. — Ma qui… qui il mio cuore non ha più paura.

Chiara gli sorrise. — Allora è questa la tua casa.

Giovanni guardò Barone accoccolato ai suoi piedi. E per la prima volta dopo tanto, sentì dentro di sé una certezza nuova: la vita non gli aveva voltato le spalle. Lo aveva semplicemente aspettato, sotto forma di una zampa nella neve.

Leave a Comment