A vent’anni, Serena aveva sposato Vladimiro, e insieme vivevano in un piccolo monolocale alla periferia di Catania. Entrambi lavoravano duramente: lui nei cantieri, lei in farmacia. La loro vita non era facile, ma l’amore e la speranza li tenevano uniti. Sognavano una casa tutta loro, dove crescere i loro due figli, Luca e Matteo.
Quando nacquero i bambini, le difficoltà aumentarono. I soldi sparivano tra pannolini, bollette e spese mediche. Vladimiro moltiplicava i turni, ma non bastava mai. Serena sentiva crescere dentro di sé un’ansia opprimente: e se qualcosa fosse andato storto? E se si ammalasse? E se perdessero tutto?
Aveva chiesto aiuto a sua madre, pensando che un appoggio temporaneo avrebbe alleggerito il peso. Ma la risposta fu gelida e crudele.
«Sei tu la colpa se non hai soldi! Nessuno ti ha obbligata a sposarti e fare figli!» le urlò in faccia, rifiutandosi di ascoltare qualsiasi altra parola.
Serena rimase senza parole, il cuore spezzato da quella freddezza. Provò a rivolgersi a suo padre, sperando in un sostegno per nonna, che viveva da sola. Ma anche lui la scacciò, dicendo che la nuova famiglia aveva la priorità.
Disperata, tornò a Vladimiro con il peso di quelle porte chiuse. L’unico rifugio rimasto era la madre di lui, Elena Stefania, che viveva in campagna. Con una stanza libera e la promessa di aiuto con i bambini, sembrava una soluzione.
Ma Serena era spaventata: la campagna significava isolamento, mancanza di scuole, ospedali, opportunità. Temeva che la loro vita finisse lì, prigioniera di un sacrificio che avrebbe allontanato i figli da tutto ciò che avevano sognato.
Eppure, guardando Luca e Matteo giocare insieme nel poco spazio che avevano, decise che qualunque scelta fosse stata, avrebbe combattuto per loro. Perché la vera forza non è solo sopravvivere, ma costruire un futuro, anche quando sembra impossibile.