I colpi cadevano uno dopo l’altro, come grandine. Sasha cercava di coprirsi con le mani, rannicchiata in un angolo della cucina. Kirill, con gli occhi stravolti dalla rabbia, sembrava non sentire nulla, né parole né preghiere. Ma quella sera era diversa. Era l’ultima.
Quella mattina Sasha aveva ricevuto un messaggio da Natasha: “Hai bisogno di una mano, Sash. Ti vedo cambiata.” Un messaggio come tanti, ma che aveva fatto vibrare una corda profonda. Da settimane, forse mesi, Sasha si alzava con un nodo allo stomaco. Lavorava, sorrideva alle colleghe, ma dentro sentiva che stava svanendo. Il sogno del nido d’amore si era trasformato in una gabbia, e il principe in un carceriere.
Kirill aveva cambiato tono col tempo. Dalle dolci frasi era passato alle frasi fredde, poi alle accuse, poi ai silenzi pesanti. Infine, le mani.
Sasha non raccontava niente a nessuno. Orfana da quando aveva 14 anni, si era convinta che l’amore fosse qualcosa che si conquistava con il sacrificio. Con il silenzio. Con la cena pronta alle 19:30.
Ma quella sera, dopo l’inventario al lavoro, dopo gli insulti per il sale mancante e la foto delle tende dimenticata, qualcosa si era spezzato.
Quando Kirill le afferrò il polso, Sasha lo guardò. Non c’era più paura nei suoi occhi. Solo una strana calma. Lentamente, liberò la mano.
«Hai ragione, Kirill,» disse a bassa voce. «Le mie capacità culinarie sono terribili. Ma sai cosa cucino bene? Il cambiamento.»
Kirill rise, sarcastico, ma non fece in tempo a parlare. Sasha si voltò e, con passo deciso, prese il telefono dalla borsa. Lo accese e compose un numero. Natasha rispose subito.
«Natasha, ora. Vieni.»
Kirill cercò di strapparle il telefono, ma Sasha lo fissò dritto negli occhi. Aveva già fatto la valigia il giorno prima. Aveva nascosto i documenti, le chiavi, persino i risparmi. Aveva solo aspettato l’ultima conferma che doveva andarsene.
Dieci minuti dopo, la porta si aprì. Natasha non era sola. Con lei c’erano due uomini grandi e silenziosi. Vicini di casa, amici. Nessuno parlò. Nessuno ne aveva bisogno.
Kirill fece un passo indietro. Per la prima volta sembrava piccolo, ridicolo, impotente. Come un attore a cui avevano strappato la maschera.
Sasha uscì dal suo stesso appartamento senza voltarsi. Non serviva più guardare indietro.
Quella sera fu davvero l’ultima volta che cucinò per lui.