Ho 50 anni, e Jeffrey è mio marito da più di vent’anni. Abbiamo condiviso una vita, una casa, figli, inverni lunghi e estati spensierate. Ma da qualche anno, la sua presenza si era fatta evanescente. Sempre via, sempre distratto, sempre con un sorriso che non arrivava più agli occhi.
La notte in cui dimenticò il nostro anniversario non fu neppure la più dolorosa. Lo fu il giorno dopo, quando non sembrò nemmeno rendersene conto.
Così ho deciso: avevamo bisogno di fuggire. Di ritrovarci, o almeno provarci. Ho prenotato una piccola pensione su un’isola greca, scelta apposta perché non c’erano telefoni nelle stanze. Solo il mare, noi due, e il tempo. Ho fatto le valigie per entrambi. Lui non ne aveva avuto il tempo, disse.
Il giorno del volo, Jeffrey è arrivato trafelato, in ritardo, nervoso.
«Non ti ricordavi nemmeno che volavamo», dissi, cercando di non crollare.
«Ho avuto una settimana infernale. Ma sono qui, no?» rispose, quasi infastidito.
Sul volo, seduti vicini ma distanti, non parlammo quasi. Io guardavo le nuvole, lui guardava il nulla. Poi, senza accorgermene, mi addormentai.
Una voce delicata mi svegliò.
«Signora», sussurrò una giovane assistente di volo. «Mi scusi se la disturbo, ma… suo marito è appena uscito. Penso che dovrebbe controllare la sua borsa a mano. Merita di sapere la verità.»
Mi voltai verso di lei, frastornata. I suoi occhi, però, non lasciavano spazio al dubbio: c’era qualcosa. Qualcosa che io ignoravo. E lei lo sapeva.
La valigia era sotto il sedile. Le mani mi tremavano quando l’aprii.
All’interno, sotto il laptop e i soliti cavi disordinati, c’era una piccola scatola di velluto blu. Non una, ma due. In ognuna, un anello identico con un’incisione all’interno: “Per sempre — J&M”. Ma io mi chiamo Elena. Non M.
E poi, una busta. Dentro, una lettera stampata, indirizzata a “Melissa”, firmata da Jeffrey. Parlava di una nuova vita, di amore, di fuggire insieme “dopo l’ultimo viaggio di chiusura”.
Mi mancò il fiato.
Quando tornò al suo posto, sorrise. «Tutto bene?»
Io annuii. Avevo già deciso.
All’arrivo, gli dissi che non stavo bene e che preferivo tornare a casa. Gli regalai uno dei due anelli. Non dissi nulla.
Ma dentro di me, in quel momento, qualcosa si era chiuso per sempre. Non con rabbia. Con una chiarezza lucida e definitiva. Avevo trovato la verità. E ora, era tempo di trovare anche me stessa.