Quando Elena annunciò il suo matrimonio, la casa si riempì di entusiasmo. Aveva 32 anni, un’anima impulsiva e teatrale, sempre alla ricerca di un palcoscenico. Il suo fratellastro Leo, invece, era l’opposto: silenzioso, introverso, e geniale con ago e filo. A 18 anni aveva già cucito abiti per spettacoli teatrali locali e piccoli eventi di moda.
«Vorrei che fossi tu a disegnare il mio abito da sposa,» gli disse un pomeriggio di gennaio, occhi brillanti e voce mielosa.
«Nessuno mi conosce come te. Voglio qualcosa che parli di me, ma fatto con le tue mani. Sarà il mio regalo preferito.»
Leo, onorato, accettò. La madre di Elena — e matrigna di Leo — pagò per i materiali, sostenendo che fosse un “progetto di famiglia”. Leo passò intere notti a cucire, a ritoccare il bustino, ad aggiungere strati leggeri di tulle color perla. A volte Elena lo prendeva in giro:
«Questo strascico è da vedova!»
Oppure: «Non è un po’… troppo couture per una campagna?»
Ma alla fine, l’abito era perfetto. Una nuvola di seta e pazienza, con ricami leggeri come fiato. Tutti ne rimasero incantati.
Due settimane prima delle nozze, però, Leo notò che il suo nome non compariva da nessuna parte. Nessun invito, nessuna menzione.
«Non sei stato invitato?» gli chiese sua madre.
Leo scrollò le spalle. Poi, con calma, chiese spiegazioni a Elena.
«Non prendertela… abbiamo deciso per una cerimonia super esclusiva. Solo amici stretti e niente minorenni. Sai com’è, l’alcol, la musica… è un ambiente da adulti.»
Leo rimase impassibile.
«Però indosserai il mio abito.»
«Certo! È magnifico. Non posso mica rinunciare. È il mio abito.»
Quella notte Leo e sua madre parlarono a lungo. L’indomani mattina, senza dire nulla, Leo si recò all’atelier e ritirò l’abito. Lo avvolse con cura e lo portò a casa.
Quando Elena scoprì che l’abito era sparito, andò su tutte le furie.
«Hai rubato il mio vestito!» gridò al telefono.
«Era il tuo solo finché mi trattavi come famiglia,» rispose Leo. «Non puoi escludermi dal giorno più importante della tua vita e aspettarti che io contribuisca al tuo splendore.»
«Ma mancano cinque giorni al matrimonio!»
«Ci sono ottimi noleggi di abiti. Oppure, puoi invitarmi.»
Ci fu un lungo silenzio. Poi Elena riattaccò.
Due giorni dopo, arrivò un biglietto scritto a mano. Nessun messaggio, solo un invito col nome di Leo inciso in oro.
Il giorno del matrimonio, Leo sedeva in fondo alla navata. Non in prima fila, come promesso mesi prima, ma presente. Elena attraversò la sala con l’abito più bello che avesse mai indossato, ma con gli occhi lucidi di chi aveva imparato, nel modo più elegante, che il rispetto non si cuce con il filo — si costruisce con i gesti.