A 91 anni salva un cucciolo e scopre di essere salvato lui sesso

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Dopo novantuno inverni, Cesare si era convinto che nulla potesse più sorprendere il suo cuore stanco. Viveva solo in un vecchio casolare tra le colline toscane, i giorni scanditi dal ticchettio dell’orologio a pendolo e dal silenzio che, da anni, gli faceva compagnia dopo aver perso moglie e figlio in un tragico incidente. La vita gli era scivolata tra le dita come sabbia, lasciandolo con ricordi e rimpianti.

Una mattina, mentre percorreva il sentiero verso il cimitero del paese, avvolto nel suo cappotto consunto e sorretto da un bastone ormai parte del suo corpo, sentì un gemito appena percettibile. Era il tipo di suono che il vento avrebbe potuto portare via in un soffio. Ma Cesare si fermò. Sotto una siepe, in una scatola di cartone malridotta, tremava un cucciolo, magro e sporco, con occhi così grandi da contenere un mondo intero.

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Accanto, una nota stropicciata: “Vi prego, prendetevi cura di lui.”

Cesare non era un uomo sentimentale, ma qualcosa dentro di lui si spezzò e si ricompose in un solo battito. Avvolse il piccolo nella sciarpa e tornò a casa, dimenticando persino i fiori per la tomba della moglie.

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Chiamò il cane Tito, come avrebbe voluto chiamare il nipote che non nacque mai. Giorno dopo giorno, Tito crebbe, e con lui tornava a nascere anche qualcosa in Cesare: un sorriso, una risata, la voglia di preparare di nuovo la zuppa preferita, di uscire al tramonto per una passeggiata. Il cane lo seguiva ovunque, lo aspettava sulla soglia, lo guardava con occhi che dicevano: “Non sei solo.”

Per due anni furono inseparabili. Poi, un pomeriggio d’autunno, Tito sparì.

Il cancello aperto. Nessun rumore, nessuna traccia. Cesare lo cercò ovunque, chiedendo ai vicini, camminando per ore. Ogni sera tornava a casa con le tasche piene di speranza e i piedi doloranti. La solitudine tornò a stringergli il cuore come un vecchio nemico.

Finché, un giorno, il cellulare squillò. Una voce concitata, un maresciallo fuori servizio che passeggiava nei boschi, un abbaiare debole da un pozzo abbandonato.

— Credo sia il suo cane, — disse. — Ha una macchia bianca sul petto, a forma di luna.

Cesare non ricordava di essere mai salito così in fretta in macchina. Quando vide Tito, magro e infangato ma vivo, scoppiò a piangere. Il cane, liberato, gli saltò addosso con la forza di mille giorni persi.

Quella sera, la casa tornò a vivere. I vicini arrivarono con vino e pane caldo, Tito dormiva acciambellato accanto alla stufa, e Cesare raccontava, per la prima volta in anni, con voce calda e occhi lucidi.

— A volte, — disse, — ci vuole un piccolo cuore abbandonato per ricordarti che non sei finito. Che puoi ancora essere casa per qualcuno.
E quella notte, il vento soffiava lieve, come una carezza.