Il silenzio di mia nonna: La verità dietro il suo addio e la mia comprensione tardiva

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Mi chiamo Leonardo, ho trentadue anni e vivo a Bologna. Solo di recente ho vissuto un’esperienza che ha rivoluzionato la mia idea di “famiglia”.

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Per anni ho avvertito qualcosa di strano nella mia: un silenzio sospetto circondava la figura di mia nonna, Maria Rossi. Da vent’anni vive completamente isolata. Non partecipa a cene, non fa telefonate, ignora anche i saluti. L’unico contatto nel suo telefono è il medico curante, oltre a un vicino che, occasionalmente, le porta la spesa. Mia madre e mia zia pensavano a un vecchio litigio, una ferita mai rimarginata. Nessuno però ne parlava apertamente.

Un giorno, spinto da un misto di curiosità e preoccupazione, sono andato a farle visita, con la scusa di portarle dei farmaci. Lì, nel silenzio della sua casa, mi ha svelato una verità che mi ha completamente spiazzato.

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— Pensi che io provi rancore? — mi ha detto guardandomi negli occhi. — No, semplicemente non voglio più vivere la vita degli altri. Sono esausta.

Le sue parole erano inizialmente lente, quasi esitanti, come se stesse dissotterrando ricordi dimenticati. Poi, man mano, la voce si è fatta più sicura, più limpida.

— Quando sei giovane, vuoi cambiare il mondo. Poi cresci, costruisci, ti prendi responsabilità. Ma a un certo punto, quello che desideri più di ogni altra cosa è la quiete. Nessuna discussione, nessuna insistenza, solo calma. La sensazione che il tempo stia per esaurirsi ti cambia dentro. E inizi a volerlo vivere a modo tuo.

Mi ha raccontato che, dopo la morte di mio nonno, ha capito quanto fosse invisibile nella sua stessa casa. I figli andavano a trovarla per obbligo, i nipoti per dovere. Nessuno si fermava davvero ad ascoltarla. Le conversazioni ruotavano attorno a tutto tranne che a lei: politica, malattie, soldi, gossip. Nessuno le chiedeva: “Come stai, tu?”

— Non ero sola — ha detto — ma mi sentivo superflua. Come una comparsa sul palcoscenico della mia stessa esistenza.

Non cercava la compagnia solo per non sentirsi sola. Desiderava vicinanza autentica, presenza vera, rispetto silenzioso. Invece riceveva parole vuote, frasi frettolose, commenti non richiesti. Così ha smesso di rispondere al telefono, di aprire la porta, di partecipare. Non per cattiveria, ma per protezione.

— Non mi mancavano loro — ha detto — mi mancava il senso.

Le ho chiesto se non temesse la solitudine.

— Ma io non sono sola, — ha risposto, accennando un sorriso. — Sono con me stessa. E finalmente va bene così. Chi viene da me col cuore aperto, lo accetto. Ma chi viene solo per riempire il silenzio con parole vuote, no.

Da quel giorno, ho cominciato a vedere lei — e me stesso — con occhi diversi. Un giorno, saremo tutti anziani. E se non impariamo oggi a rispettare il silenzio altrui, come potremo sperare che qualcuno rispetti il nostro domani?

Portrait of recent voter Julia Garcia Medina, 102, at her home Friday Nov. 4, 2016.

Mia nonna non è amara, né arrabbiata. È solo consapevole. La sua è una scelta lucida, fatta da chi ha imparato a dare valore al tempo rimasto. Gli psicologi dicono che la vecchiaia non è una fuga, ma una preparazione alla partenza. Non è tristezza, ma una forma di cura di sé.

E sapete una cosa? Aveva ragione. Non ho provato a convincerla a “ricucire i rapporti”, né a farle discorsi sull’importanza della famiglia. Perché la vera sacralità sta nel rispetto. E se non sai rispettare il bisogno di silenzio, non puoi definirti famiglia.

Da allora, vado a trovarla. Ma non per dovere. Per amore. A volte stiamo semplicemente seduti insieme, io che leggo un libro, lei che sorseggia il tè. Senza forzare nulla. E in quei momenti, i suoi occhi si rilassano. Quel silenzio vale più di mille parole.

E oggi, sono grato di aver avuto il privilegio di ascoltarla.