Erik Immobile Sulla Soglia della Porta
Un’espressione di stanchezza profonda, frutto di un lungo viaggio e infinite ore di lavoro, era impressa chiaramente sul suo volto. Tuttavia, nel momento in cui i suoi occhi incontrarono quelli di sua madre, qualcosa dentro di lui si spezzò.
Lì era lei, con il braccio strettamente avvolto attorno a sé, ostentando lividi e simulando lacrime, come se quella recita fosse l’unica realtà accettabile.
Uno spettacolo perfettamente orchestrato.
Poi Erik sollevò lo sguardo verso il telefono.
Il video continuava a scorrere.
Lo guardò attentamente.
I lividi falsi.
La caduta artefatta.
Quel momento preciso in cui sua madre, convinta di essere sola, preparava la messinscena dell’“incidente”.
All’improvviso, Erik staccò il braccio da quello della donna.
L’aria divenne densa, quasi insopportabile.
Solo l’orologio appeso al muro rompeva il silenzio con il suo ticchettio sommesso, scandendo ore pesanti.
«Cos’è questo, mamma?» chiese Erik con voce bassa, gelida.
Zsófia strinse gli occhi. Dopo un attimo di esitazione, si calò abilmente in un altro ruolo, come se fosse preparata a recitarlo.
«È un falso! Isabelle l’ha creato! Sai quanto ho sofferto! Mi perseguita da mesi!»
Erik si rivolse verso di me. Avevo già aperto il file intitolato “178”.
Lo proiettai: mostrava lei, pacata, mentre estraeva la trousse per il trucco, e con precisione dipingeva i finti lividi. Seguiva la rappresentazione della caduta, meticolosamente ricreata lungo le scale.
«Sono un informatico, mamma», parlò Erik a bassa voce. «So riconoscere un video autentico. Questo è vero. Sei tu.»
Il volto di Zsófia si contraeva.
Per la prima volta, paura e rabbia balenarono insieme nei suoi occhi.
Perse il controllo.
«Io… volevo solo il meglio per te. Isabelle vuole allontanarmi, cancellarmi dalla tua vita! Non lo capisci?»
«Adesso ho capito», replicò Erik con fermezza.
«Ho compreso che è stata Isabelle a prendersi cura di te, a sopportare tutto… e che questo è il modo in cui l’hai ricambiata.»
Voltandosi verso di me, proseguì:
«Isabelle… perdonami se non sono arrivato prima e non ti ho visto.»
Ora toccava a me agire.
Nel frattempo, lei uscì dall’appartamento mentre parlava al telefono, con tono freddo, deciso e nitido.
«Buonasera. Desidero formalizzare una denuncia per frode e diffamazione. Abbiamo prove video.»
La donna, fino a quel momento fingendo di essere vittima di abusi, divenne improvvisamente pallida mentre giaceva sul lettino.
La lunga rappresentazione teatrale che aveva inscenato per settimane crollò miseramente.
Il ruolo di “vittima sofferente” non ingannava più nessuno.
Rimase immobile, in silenzio.
Ormai era chiaro a tutti chi fosse realmente.
Chiusi la porta dietro di loro.
Per la prima volta, dopo mesi interminabili, potetti inspirare profondamente.
Non sempre si vincono le battaglie con urla strazianti.
Spesso, si trionfa con la calma.
Con l’intelligenza.
E con qualche telecamera ben nascosta.
Ma, soprattutto, grazie alla verità.
Espressa nel momento più opportuno.
In conclusione, questa vicenda sottolinea quanto la realtà possa essere nascosta dietro finzioni sapientemente costruite. Solo attraverso pazienza, intuito e prove concrete si può smascherare l’inganno e riportare luce sulle menzogne. La storia di Erik insegna quanto sia fondamentale affidarsi alla verità e alla giustizia nel momento decisivo per ristabilire ciò che è autentico e giusto.