Dai salti in elicottero alle aste milionarie per comprare oggetti inutili, Fabian trovava divertimento solo dove poteva mostrare la sua superiorità.

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Fatsomus non era il suo vero nome. Si chiamava Fabian Musetti, ma in città tutti lo conoscevano come Fatsomus, soprannome nato da una combinazione tra il suo cognome e la sua fama: stravagante, potente, ma a tratti crudele nei giochi che faceva con la vita degli altri.

Era il re delle sfide folli. Dai salti in elicottero alle aste milionarie per comprare oggetti inutili, Fabian trovava divertimento solo dove poteva mostrare la sua superiorità.

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Una sera, nel corso di una cena tra magnati, ubriaco di successo e champagne, qualcuno lo punzecchiò:

— Scommetterei che non avresti mai il coraggio di sposare… la ragazza più grassa della città!

Il silenzio fu tagliente. Poi, lui rise.

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— Accetto. Entro un mese la sposo. E non solo — organizzerò il matrimonio dell’anno.

Quella ragazza si chiamava Mara. Dolce, intelligente, appassionata di arte e lettura. Viveva tranquilla, lontana dai riflettori, senza aspettarsi nulla dal mondo dorato. Quando Fabian si presentò con i suoi fiori e la sua sicurezza, lei rise incredula.

— Vuoi sposarmi?

— Certo. Sei… speciale.

Mara sentì che c’era qualcosa di falso, ma anche qualcosa di triste in quegli occhi. Accettò. Non perché fosse cieca, ma perché era coraggiosa.
E forse, nel profondo, pensava che lui potesse cambiare.

Il matrimonio fu annunciato ovunque. Titoli crudeli:
“Lo scapolo d’oro sposa una XXL per gioco”
“Chi ride per ultimo?”

Ma Mara rimase calma. Prese l’offesa e la trasformò in attesa.

Il grande giorno arrivò. Fatsomus, elegante e impettito, attendeva sul palco con lo sguardo soddisfatto. Gli ospiti ridevano sotto i baffi, pronti a godersi lo spettacolo grottesco.

Poi apparve Mara.

Indossava un abito rosso rubino, aderente, regale. Sul viso un trucco leggero, ma determinato. Invece di camminare in silenzio fino all’altare, salì sul palco. Chiese il microfono.

— Prima di diventare la moglie di Fatsomus, vorrei mostrarvi… chi sono.

E con una musica dolce, iniziò a ballare. Non una danza goffa. No. Una danza teatrale, intensa, preparata da settimane. Ogni movimento raccontava la sua storia: le risate crudeli subite da bambina, le delusioni, il dolore… ma anche la forza. La gioia. L’amore per sé stessa.

Il pubblico ammutolì.
Alla fine, silenzio. Poi, un applauso. Prima timido, poi fragoroso.

Fatsomus rimase impietrito. Guardava Mara con occhi nuovi. In quel momento capì di essere stato lui lo sciocco. Lei non era una sfida. Era un miracolo.

Quella sera, alla fine della cerimonia, le si avvicinò, tremante.

— Non so se posso chiederti questo davvero… ma voglio che tu sia mia moglie. Non per una scommessa. Perché oggi mi hai insegnato cosa significa avere coraggio.

Mara lo guardò, dolce ma decisa.

— Non mi serve un uomo che mi sposa per coraggio. Mi serve uno che impari ad amare. Se sarai pronto, io ci sarò.

Fabian lasciò la festa quella notte in silenzio.

Passò un anno. Nessun titolo scandalistico, nessuna nuova follia da social. Solo un uomo, in terapia, a scuola di umiltà, e una donna, libera, che danzava ogni sera nella scuola che aveva aperto: “Corpi Veri”, per tutte le donne che avevano bisogno di sentirsi viste.

Poi, un giorno, un uomo con un mazzo di fiori bussò alla sua porta. Tremava. Ma non per paura.

Per amore.

E lei… danzò ancora.