Isabella chiuse la finestra con un gesto secco. Le parole della ex suocera le ronzavano ancora nelle orecchie, come una zanzara fastidiosa nelle notti d’estate:
“Marco? Un vero signore. Se n’è andato lasciandole ogni cosa. Un uomo d’altri tempi!”
Un uomo d’altri tempi? Isabella sbuffò. Marco, d’altri tempi, forse sì — ma quelli in cui le donne zappavano e gli uomini si lisciavano i baffi davanti allo specchio.
Era passata una settimana da quando lo aveva visto per l’ultima volta. Una valigia, una faccia offesa, zero parole. Non uno sguardo indietro. Il tipico Marco. Tutto teatro, niente sostanza.
Eppure ora, Lucia Maria — sua ex suocera — girava per il quartiere come una portavoce da talk show, raccontando a chiunque avesse un paio d’ore libere come suo figlio fosse stato “generoso” al punto da lasciarle tutto. Casa, auto, perfino il microonde.
Isabella avrebbe voluto solo dire:
“Ma cosa, esattamente, avrebbe dovuto prendersi? La tenda che ho cucito con mia madre? La credenza della nonna? La tv che ho comprato con lo stipendio del primo stage?”
Ma non lo faceva. Non per debolezza — per scelta.
Nei quattro anni di matrimonio, Isabella aveva scoperto più cose su sé stessa che su suo marito. Come il fatto che potesse essere resiliente anche quando si sentiva spezzata. Che si potesse amare e odiare qualcuno nella stessa giornata. Che, in fondo, essere sola era meno faticoso che sentirsi soli accanto a qualcuno.
Marco era stato una presenza evanescente, un sogno sgonfiato. Non faceva male. Faceva vuoto.
E lei ci aveva provato. Con tutta sé stessa. Aveva creduto nella coppia, nel costruire, nel dialogo. Ma quando l’altro costruisce castelli in aria e tu paghi cemento e mattoni, arriva un momento in cui devi fermarti.
E lei l’aveva fatto.
Un pomeriggio, tornando dal lavoro, Isabella trovò la vicina sul pianerottolo, la signora Elena, un po’ impicciona ma dal cuore d’oro.
— Isa, cara, ho sentito… Lucia dice che Marco ti ha lasciato ogni cosa. Che cavaliere, eh?
Isabella le rivolse un sorriso gentile.
— Sì, proprio un principe.
Fece una pausa.
— Peccato che il castello fosse già mio.
Quella sera, aprì una bottiglia di vino bianco, mise un disco di Mina e si sedette sul divano.
Il salotto, finalmente ordinato, profumava di lavanda. Sui muri c’erano le stampe che aveva scelto lei, non un’opinione sminuente a ogni acquisto. Sul tavolo, una pianta che innaffiava ogni giorno con cura. In cucina, la moka pronta per il mattino. Tutto suo. Tutto guadagnato. Tutto sopravvissuto a Marco.