— Questa casa non è su una mappa normale, mormorò Olga, notando che anche su Google Maps l’immagine era sfocata.

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La signora Olga Romanovna non era mai stata una donna facile da sorprendere. Vedova da più di dieci anni, ex professoressa di letteratura russa, viveva da sola in un piccolo appartamento alla periferia di Kazan. Ordinata, severa, con la lingua affilata quanto la mente.

Quando il genero, Igor — ricco imprenditore immobiliare con più auto che emozioni — le annunciò che le aveva acquistato una dacia di lusso fuori città, Olga sospettò subito qualcosa.

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— Perché questa generosità improvvisa, Igor?

— Perché sei la madre di mia moglie. E meriti qualcosa di più di quei muri scrostati, rispose lui con il suo solito sorriso plastificato.

La dacia era effettivamente magnifica: legno scuro pregiato, sauna finlandese, vetri blindati, un camino che pareva uscito da una rivista scandinava. Olga si trasferì per l’estate, portando con sé solo qualche libro, una valigia, e la sua diffidenza.

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La prima volta fu un uomo vestito elegante, con una valigetta. Si avvicinò alla recinzione della dacia, guardò l’orologio, e se ne andò dopo aver scritto qualcosa su un blocco note.

Il giorno dopo fu una donna, con occhiali scuri e un trolley. E poi, tre ragazzi con un drone che sorvolava il tetto. Non sembravano turisti. Non cercavano indicazioni.

— Questa casa non è su una mappa normale, mormorò Olga, notando che anche su Google Maps l’immagine era sfocata.

Cominciò a tenere un diario. A segnare orari, facce, numeri di targa. Dormiva poco. Una notte sentì qualcuno tentare di aprire la porta d’ingresso. Quando accese la luce, c’era solo silenzio. Ma sul tappeto d’ingresso c’era una sigaretta accesa, ancora fumante.

Olga aveva un nipote, Kostya, smanettone informatico. Gli inviò le coordinate della casa. Due giorni dopo, lui si presentò di persona, pallido.

— Nonna… Questa dacia non è solo tua. È registrata anche a nome di una società offshore con sede a Cipro. Quella stessa società è sotto indagine per traffico internazionale. Igor è collegato a un gruppo che usa case “pulite” per ospitare incontri illegali e trasferimenti di denaro.

— Mi stai dicendo che mi ha usata? Che mi ha fatto da prestanome?

— Peggio. Ti ha messo nel mirino di chi vuole fermarlo. O ricattarlo.

Olga non chiamò la polizia. No, troppo rischioso, troppo lento. Lei era una Romanovna. Prese il diario, i file di Kostya, e una chiavetta USB. Poi attese.

Quando Igor arrivò per la “visita di controllo”, lei lo accolse con tè caldo e un sorriso glaciale.

— Sai, caro genero… ho scoperto che la tua generosità ha un prezzo. Ma vedi, ho sempre pagato i miei debiti in anticipo.

— Di che parli, Olga?

Lei lo fissò, poi posò la chiavetta sul tavolo.

— L’ho inviata già a tre giornalisti. E a un certo colonnello in pensione che ha ancora qualche amico nei servizi. O mi lasci fuori da tutto, cancella ogni legame legale tra me e questa casa… oppure domani, quando ti sveglierai, sarai il volto più famoso del notiziario delle 20.

Igor impallidì.

Il giorno dopo, scomparve. Letteralmente. Il suo nome sparì dalle carte, la casa fu trasferita a un ente di beneficenza che aiutava donne vittime di truffe e abusi familiari.

Ora Olga vive di nuovo nel suo vecchio appartamento, ma con una differenza: ha rispetto. Dai vicini, dai giornali (che mai rivelarono il suo nome), e perfino dalla figlia, che solo allora capì l’uomo che aveva sposato.

La dacia? Venne ribattezzata “Dom Svobody”, la Casa della Libertà.

E i misteriosi visitatori non tornarono mai più.

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