“Mia figlia voleva sposare un uomo che poteva essere suo nonno. La verità mi ha sconvolto.”
Quando mia figlia Marta ha compiuto diciannove anni, pensavo che il peggio fosse passato: l’adolescenza turbolenta, i silenzi dopo la morte di sua madre, le liti per sciocchezze. Ma niente mi aveva preparato alla notizia che stava per darmi.
Era una domenica pomeriggio. Stavo leggendo sul divano quando Marta si è seduta accanto a me con uno sguardo deciso.
— Papà, mi sposo. Con Giulio.
— Giulio chi? — ho chiesto, sollevando appena lo sguardo.
— Giulio… ha 63 anni.
Ho sentito il cuore fermarsi un istante.
Sessantatré. Aveva più anni di me.
— Marta, ti rendi conto? Lui potrebbe essere tuo nonno! — ho detto, cercando di mantenere la calma.
— Non parlare così. Lui mi ama. E io lo amo. Nessuno mi ha mai fatto sentire così protetta.
Ho chiesto di incontrarlo. Non potevo giudicare senza sapere.
Due giorni dopo, Giulio è venuto a casa. Gentile, ben vestito, istruito. Parlava con calma, con quella sicurezza da uomo navigato. Ma qualcosa in lui mi metteva a disagio.
Marta era felice. Troppo. Sembrava ipnotizzata.
Durante la cena, ho finto di dover fare una telefonata e sono uscito in balcone. E lì, per puro caso, ho sentito una voce provenire dal corridoio. Giulio stava parlando al telefono, senza sapere che la finestra era aperta.
— Non ti preoccupare, Roberta. Tra un mese sarà tutto fatto. Il matrimonio serve solo per mettere le mani sul fondo che ha ereditato. È legale, tranquilla.
Il sangue mi si è gelato.
Mia figlia non era amata. Era usata.
La sera stessa ho cercato aiuto. Un mio vecchio collega lavora nella finanza investigativa. In pochi giorni, è emerso il peggio: Giulio aveva tre matrimoni alle spalle, viveva di raggiri, e aveva truffato almeno quattro donne negli ultimi dieci anni.
Ho provato a parlarne con Marta, ma lei non mi ha creduto. Mi ha accusato di essere geloso, di volerla controllare.
Così ho fatto l’unica cosa che potevo: agire.
Ho contattato una delle sue ex mogli, una donna di nome Paola. Con lei e un paio di altre vittime, abbiamo costruito un dossier. Poi ho aspettato il giorno della cerimonia.
Quando Marta stava per dire “sì”, mi sono alzato in piedi.
— Giulio non è chi dice di essere. E non sono l’unico a saperlo.
Paola e le altre donne si sono alzate una dopo l’altra, raccontando la verità.
Marta tremava. Le sue mani non riuscivano a tenere il bouquet.
— Basta — ha sussurrato. Poi si è girata verso Giulio e gli ha detto: — Sei un mostro.
Se n’è andata in silenzio. Io l’ho seguita.
Nei giorni successivi non ha parlato molto. Solo dopo una settimana è venuta da me, gli occhi gonfi.
— Papà, mi dispiace. Avevi ragione.
— L’importante è che tu stia bene, — le ho risposto, abbracciandola.
Quel giorno le ho regalato un biglietto per Firenze, dove aveva sempre sognato di studiare arte.
— Comincia da lì. Dimentica il passato.
Mi ha sorriso per la prima volta dopo mesi.
Quella esperienza mi ha insegnato una cosa: anche quando un figlio si allontana, anche quando rifiuta il nostro aiuto… noi dobbiamo restare. Osservare da lontano. E intervenire quando serve.
Perché nessuna distanza è più forte dell’amore di un padre.