Nel paesino di Poggioverde, dove le casette strette si affacciavano su vicoli silenziosi e il mormorio mattutino si mescolava al fumo delle cucine, circolava da tempo una voce inquietante. Nella corte accanto alla dimora di nonna Elena viveva un cane imponente, Bruno, con il pelo bruno-ruggine e lo sguardo sempre all’erta. Legato a una catena robusta, ringhiava a chiunque passasse, tanto da tenere a distanza persino i più coraggiosi.
Gli abitanti del borgo scuotevano la testa: «Guardalo, potrebbe azzannarti da un momento all’altro», mormoravano. I bambini evitavano il suo recinto, correndo dall’altro lato della strada. Nessuno si chiedeva perché nonna Elena, donna riservata e sempre vestita di scuro, tenesse un animale tanto temuto. Si diceva fosse stato il cane del suo unico figlio, scomparso anni prima, e che lei non avesse avuto il cuore di lasciarlo libero.
Una calda giornata di fine estate cambiò ogni cosa. In un campo di more selvatiche vicino al fosso, la piccola Anna, sette anni, si era spinta oltre il sentiero consueto, attratta dal profumo dolce dei frutti. Mentre si chinava tra le foglie, un sibilo inconfondibile la fece gelare: un serpente grigio, pallido come la cenere, si ergeva pronto a pungere. Il cuore di Anna restò bloccato, le gambe non rispondevano.
Proprio allora, dalle ombre del cortile sbucò Bruno. La catena colpì le pietre, ma il cane, con un balzo sorprendente, si mise tra Anna e il rettile. Ringhiò con tale forza da far rimbombare il silenzio, e con un morso deciso spezzò il pericolo a metà. Il serpente cadde, inerte. Anna, paralizzata dallo spavento, guardava il salvatore a quattro zampe.
Un grido di allarme squarciò l’aria: altri bambini, richiamati dal trambusto, accorsero. «Anna, dove sei?» chiamavano, ma si fermarono appena videro Bruno accovacciato, il muso sporco di foglie. La ragazzina balbettò: «Non… non toccatelo, mi ha protetta!» E piano piano, avvicinandosi, sfiorò il pelo arruffato.
In pochi minuti, il borgo si radunò davanti al cortile di nonna Elena. Qualcuno imprecò per lo spavento, altri scossero il capo ricordandosi di aver biasimato quel cane. Nonna Elena, tremante, comparve sulla soglia: «Che hai fatto, Bruno? Ti sei liberato… eppure l’hai protetta.»
La folla si ammutolì davanti alla scena: il cane guardava Anna con gli occhi meno feroci, quasi affettuosi. Qualcuno sospirò: «Forse ci siamo sbagliati…»
Da quel giorno, l’atteggiamento verso Bruno mutò. Al posto della recinzione, quella catena venne sostituita da una lunga corda, poi eliminata del tutto. I bambini iniziarono a portargli mele e panini, mentre Anna gli rubava carezze e carezze. Nonna Elena si sciolse in un sorriso che non si vedeva da anni.
E così il guardiano temuto divenne il protettore del villaggio. Ogni volta che un’ombra d’inquietudine attraversa Poggioverde, qualcuno ricorda il coraggio di Bruno. E tutti sanno che, sotto quel pelo arruffato, batte un cuore fedele, capace di custodire chi ha bisogno di aiuto—anche un’innocente bimba in balia di un serpente.