Mi chiamo Ludovica, ho cinquantacinque anni e vengo da Siena. Sì, hai capito bene: sono appena diventata madre. Ogni volta che lo penso, mi sembra di sentire una voce lontana ripeterlo, come se volesse convincermi che è vero. Per tanto tempo non ci ho creduto nemmeno io.
La mia vita era fatta di abitudini tranquille: il mio lavoro, qualche cena con amici, l’appartamento pieno di silenzi e fotografie, e i ricordi — dolci e pungenti — di mio marito scomparso. Dentro di me, però, c’era un vuoto muto che sembrava non volersi colmare mai.
Eppure ora, mentre stringo tra le braccia mia figlia appena nata, così minuscola, così viva, quel vuoto si è riempito di un calore nuovo. Lei respira piano, aggrappandosi al mio pigiama con quelle manine trasparenti, e io sento il mio respiro cambiare ritmo, adeguarsi al suo. È come se imparassi di nuovo a vivere. Sì, sono diventata madre. Da sola. Almeno così credevano tutti.
Il giorno in cui ho partorito, però, ogni cosa è cambiata.
Qualche mese fa avevo invitato a casa un piccolo gruppo di amici per una serata semplice, senza ricorrenze da festeggiare. Solo il desiderio di condividere il tempo, le parole, il calore umano. Tra loro, c’erano persone che conoscevano ogni mia ruga e sorriso da anni: Elena, la mia confidente, Andrea, il compagno di tante chiacchierate, e la mia vicina, sempre pronta con una torta o una battuta.
— Ludovica, hai un’aria diversa… — disse Elena, riempiendo i bicchieri.
— C’è qualcosa che non ci dici, — rise Andrea.
Li guardai un momento, poi dissi piano, con una calma che mi sorprese:
— Aspetto un bambino.
Un silenzio improvviso. Poi un turbine di reazioni: incredulità, domande sussurrate, occhi spalancati.
— Davvero?
— Ma com’è possibile?
Sorrisi appena e risposi:
— Non importa come. Quello che conta è che sta succedendo. E non sono mai stata così felice.
Non dissero altro. Solo uno sapeva tutta la verità. Solo Alessandro.
Lui era il miglior amico di mio marito, quasi un fratello. Era con noi nei giorni di festa, nei momenti duri, nelle ore interminabili in ospedale. Fu lui a tenermi la mano al funerale. Fu lui a restare, quando tutti gli altri tornarono alla loro vita.
Tra noi non c’era mai stato nulla, solo un affetto profondo e silenzioso. Ma una sera, inaspettata come una pioggia d’estate, qualcosa cambiò. La stanchezza, il dolore, la solitudine ci unirono in un abbraccio che non era previsto. Non ci furono dichiarazioni, solo una verità sussurrata nel buio:
— Non ce la faccio più — dissi.
— Non sei sola — rispose.
E fu come se le nostre anime, esauste, si fossero trovate per un attimo. Il giorno dopo, ci salutammo senza parole. E non ne parlammo più.
Tre mesi dopo, scoprii di essere incinta. Avrei potuto dirglielo. Ma non l’ho fatto. Perché conoscevo Alessandro: sarebbe rimasto per senso del dovere. Ma io non volevo essere un dovere. Volevo essere una scelta. Se fosse stato destino, avrebbe trovato la strada da solo.
E così, il giorno in cui mia figlia è nata, mentre ero ancora in ospedale con i fogli da firmare tra le mani, la porta si è aperta. E c’era lui. Alessandro. Con un mazzo di fiori e lo sguardo tremante. Mi ha visto, ha visto lei. E si è fermato. I suoi occhi si sono persi nei suoi. Nelle sue labbra. In quello specchio inatteso.
— È… mia figlia? — ha chiesto con la voce rotta.
Ho annuito. Si è seduto accanto a me, mi ha preso la mano e ha detto:
— Non dovevi decidere per entrambi. Anch’io ho diritto a esserci.
— Vuoi restare? — ho chiesto, temendo la risposta.
Lui ha accarezzato la bambina, e ha sussurrato:
— Non me ne andrò. Mai.
Non mi ero mai concessa di dipendere da qualcuno. Avevo imparato a bastarmi, a vivere senza aspettative. Ma in quell’istante ho capito che non si tratta di aspettare qualcosa. Si tratta di riconoscere il miracolo quando arriva. Perché a volte, accade proprio così. Quando smetti di sperare, la vita ti sorprende.
Adesso non ho più paura. Ho mia figlia. E ho lui. Non più l’amico di mio marito, ma l’uomo che ha scelto di esserci. Senza condizioni. Senza obblighi. Solo con amore. E a cinquantacinque anni, questo è il dono più grande che potessi ricevere.