Mi chiamo Anna Rinaldi e vivo a Tivoli, una città che si incastona perfettamente tra le colline romane, con i suoi giardini incantevoli e le vie tranquille. Quando, per la prima volta, mi avvicinai a Sergio, un collega, sentii un’emozione travolgente, come se il cuore mi cantasse. In quel momento, mi sentivo la persona più importante della sua vita, la sua amante unica. Eppure, con il tempo, mi resi conto che quella felicità era sfumata da una realtà dolorosa: ero destinata a condividere il suo amore con qualcun altro.
Era il mio primo incarico nella nostra azienda quando fui mandata a Milano con Sergio per concludere un affare importante. La trattativa andò a buon fine, e dopo aver celebrato il successo, Sergio mi propose di andare a prendere un drink. «Un contratto come questo merita una bevuta», disse con un sorriso. Accettai volentieri. Al bar dell’hotel, mentre sorseggiavamo whisky, le parole tra noi divennero sempre più fluide, come se ogni barriera si fosse sciolta con l’alcool. Fu lì che, all’improvviso, mi baciò. Non mi aspettavo nulla, ma non lo respinsi. In ascensore, le sue braccia mi avvolsero con una passione che non potei fermare. Quella notte, nella sua stanza, tutto sembrò magico e intenso, come un incendio che divampa senza controllo.
Quando tornai a Tivoli, non potevo tenermi tutto dentro. Mi confidai con Lucia, una collega che consideravo una sorella. Ma la sua risposta mi colpì duramente: «Non ti innamorare di lui!». «Perché?» chiesi, sorpresa. «È sposato», rispose con fermezza. Quelle parole mi ferirono, soprattutto perché Sergio aveva solo 27 anni, e non riuscivo a credere che fosse già legato a una famiglia. Gli chiesi direttamente e lui non cercò scuse: «Sì, sono sposato da un anno». Ma questo non ci fermò. Divenimmo amanti, e i nostri incontri segreti nell’appartamento che aveva ereditato dai nonni diventarono una routine che mi consumava sempre di più.
Un giorno, mentre sdraiata accanto a lui, trovai il coraggio di parlargli: «Sergio, divorzia. Stare con me ti renderebbe più felice». Mi guardò con un’espressione triste. «Ti amo, ma non posso». «Perché?» chiesi, senza pensare. «Perché mia moglie è gravemente malata». Rimasi paralizzata. «Cosa ha?» chiesi con voce tremante. «Ha il cancro al seno, lo abbiamo scoperto da poco. Non posso lasciarla ora». Le sue parole mi colpirono, ma compresi che in quel momento lei aveva davvero bisogno di lui. Provai un’incredibile compassione per Marina. Quando mi disse che sarebbe stata operata il giovedì, pregai per lei con tutto il cuore, fino alle lacrime. Dopo l’intervento, ci distaccammo. Sapevo che il posto di Sergio era con sua moglie.
Quattro mesi passarono senza che Sergio cercasse più un incontro. Quando gli chiesi cosa stesse accadendo, mi rispose che Marina stava ancora male e avrebbe probabilmente dovuto affrontare un’altra operazione. «Capisco il tuo dolore, ma pensa anche a me», dissi, timidamente. Lui annuì: «Hai ragione, vediamoci sabato». Quando ci incontrammo, la notte fu ancora una volta calda e piena di passione. Ma prima di andarmene, ripresi l’argomento del divorzio. Il suo viso divenne improvvisamente freddo: «Non lo farò mai. Marina è la sorella del mio capo». Rimasi senza parole. «È tutto un gioco! E il cancro? È una bugia?» Lui non rispose e se ne andò, sbattendo la porta con rabbia.
Pochi giorni dopo, una donna elegante e bruna entrò nel nostro ufficio. Chiese di Sergio. Lucia la accompagnò nel suo ufficio. «Chi è?» chiesi a Lucia più tardi. «Sua moglie», rispose con un sorriso ironico. Decisi di entrare nel suo ufficio sotto falsa pretesa di recuperare dei documenti. Marina non sembrava affatto malata. Anzi, era sana, radiosa, e splendeva di eleganza. Mi sentii piccola e insignificante al suo cospetto. Quando tornai a parlare con Lucia, le chiesi: «Ma è vero che Marina è malata di cancro?» Lei mi guardò perplessa: «No, è una sciocchezza. Sarebbe risaputo». Mi colpì: Sergio mi aveva mentito fin dall’inizio.
Pochi giorni dopo iniziai a sentirmi strana, nauseata. Mi confidai con Lucia, che mi guardò sorpresa: «Forse sei incinta?» Scossi la testa, ma feci comunque un test che risultò positivo. Il ginecologo confermò che ero al secondo mese di gravidanza. La notizia mi travolse, mentre i ricordi di quella notte senza precauzioni tornavano nella mia mente. Mi trovai di fronte a un dilemma: tenere il bambino o no? Chiamai Sergio. «Fai un aborto!» mi ordinò, senza esitazioni. «No, non lo farò», risposi con fermezza. «Allora ti farò licenziare», minacciò. «Non mi spaventi», risposi, decisa. E, infatti, venni licenziata. Un’amica mi trovò un lavoro come commessa in una libreria, dove il proprietario, suo fratello, accettò di assumermi solo per pietà.
La bambina nacque al settimo mese: era fragile, ma viva. La chiamai Serafina, in onore di Sergio. Non gli dissi nulla, e forse non glielo dirò mai. Mi ha tradita, mi ha lasciata sola, nel momento più difficile, quando avevo solo il bambino e nessuna sicurezza. Vedo il suo volto nei sogni, bello ma pieno di falsità, e il cuore mi si stringe per il dolore. Ha scelto la sua famiglia, la carriera, e mi ha cancellata come se non fossi mai esistita. Ma io non mi sono arresa. Sto crescendo mia figlia, lottando ogni giorno per lei, anche quando il destino sembra metterci contro. Lui vivrà con le sue bugie, mentre io vivrò per Serafina, la mia luce nell’oscurità.