Elena custodiva un segreto che nessuno conosceva, un silenzio antico che l’accompagnava ovunque. Viveva lontano dal trambusto del mondo, senza cercare il coinvolgimento degli altri, evitando drammi e confidenze inutili. Se qualcuno bussava alla sua porta chiedendo aiuto, non si tirava mai indietro. Ma mai, nemmeno una volta, si era proposta spontaneamente.
Il suo legame con la natura era profondo, più acuto di quello di qualsiasi animale selvatico. Riusciva a percepire la presenza degli altri attraverso il più lieve cambiamento nell’aria. Gli odori, che per chiunque altro sarebbero passati inosservati, rivelavano a lei malattie, sofferenze, emozioni.
Un giorno, un uomo si presentò alla sua porta, dopo un lungo momento di indecisione, e le chiese:
— Come fai a saperlo? Mi sono appena fatto la doccia, ho messo vestiti puliti, non ho avuto tempo di farmi impregnare dagli odori esterni. Eppure, quando mi hai annusato, sei rimasta in silenzio per un attimo… e hai identificato il mio problema con una precisione sorprendente.
Elena sorrise lievemente:
— Chi soffre emana un odore particolare, un’essenza di disperazione. Basta imparare a distinguere da dove proviene quella fragranza di resa.
Poteva leggere oltre ciò che gli altri non vedevano, riusciva a penetrare l’incomprensibile.
Ma quell’uomo era troppo curioso.
— Tu aiuti tutti, giusto? Lo so. Non sono venuto qui per caso. Ma se aiuti gli altri, perché non riesci ad aiutare te stessa? Scusami se è una domanda inopportuna… ma mi sembra ingiusto.
Elena si strinse nelle spalle:
— Non posso aiutarmi. Non si tratta di una malattia che si può curare con le erbe. È qualcosa che riguarda la mente. Un trauma. Come chi perde la voce a causa della paura… io ho perso la vista.
Fu la prima volta che parlò della sua cecità. Lo disse solo perché davanti a lei c’era un uomo destinato a morire. Lo sentiva, lo respirava. Dentro di lui c’era un incendio silenzioso. Gli restava poco.
Quella domenica, come sempre, Elena si addentrò nel bosco. Accanto a lei trottava Barone, il suo cane fedele, grande e peloso, che fingeva disobbedienza solo quando non c’era nessuno a guardarlo.
Ascoltava i suoi salti con affetto. Sapeva che, per quanto sembrasse distratto, non la perdeva mai di vista. E se lei inciampava, Barone correva subito a sorreggerla.
Nel villaggio vicino, la chiamavano “nonna Lena”. Nessuno sospettava che non avesse ancora cinquant’anni. Era più facile così: meno domande, meno occhi curiosi.
Improvvisamente si fermò. Anche Barone si immobilizzò. Sentiva il rombo di un motore lontano. Un’auto. Si stava avvicinando alla sua casa. Il cane si avvicinò, poggiando il fianco caldo contro la gamba di Elena.
— Forse non è per noi, — sussurrò Elena.
Ma l’auto si fermò proprio davanti al suo cancello. Un brivido di premonizione le attanagliò il cuore. Non era la solita richiesta di aiuto. No. Qualcosa di oscuro stava arrivando.
Poi sentì due voci discutere:
— Perché insisti? I medici non possono fare nulla. Figurati una guaritrice di campagna.
— E invece ti sbagli. Ho fatto tutto il possibile. Sono stata una moglie devota. Ora, nella disperazione, provo anche questa. Ti porto da lei. E guarda che bel contesto: aria pulita, tramonti bellissimi. Morirai qui, non a casa nostra. Meglio così, no? E io, la moglie perfetta, avrò fatto tutto.
— Sei disgustosa. Ma non ti servirà. Ho bloccato tutti i conti.
— Non importa. Aspetterò. Quando erediterò, i conti torneranno attivi. E intanto… non dovrò più vederti. Sei diventato un cadavere vivente.
L’uomo sospirò:
— Forse hai ragione. Meglio morire tra gli alberi che accanto a una iena come te. Vattene.
L’auto partì furiosa, lasciando dietro di sé polvere e silenzio.
Elena riconobbe la voce della donna. Era la stessa che anni prima le aveva offerto denaro per procurarle erbe che avvelenassero lentamente suo marito. Ma qui, la vita non aveva prezzo.
Senti lo sguardo dell’uomo su di sé.
— Buongiorno… mi hanno lasciato qui. E ora non posso andare da nessuna parte.
Elena si irrigidì. Quella voce… c’era qualcosa di familiare, ma non riusciva a ricordare.
— Buongiorno, — rispose con calma.
Si avvicinò, Barone visibilmente agitato. L’uomo era seduto a terra. Elena tastò il terreno con il bastone e trovò la sedia a rotelle. La sistemò davanti a lui.
— Si accomodi.
— Non riesco. Non ho appigli.
— Barone, aiutalo.
Il cane si muose con intelligenza. L’uomo esclamò sorpreso:
— Sei più sveglio di certi esseri umani!
Dopo qualche sforzo, l’uomo si sistemò sulla sedia.
— Ora deve riposare. La pressione salirà presto. Diventerà pericoloso.
Elena posò una mano sulla sua fronte.
— Ma come fa a saperlo? — chiese lui, stupito.
Un fremito attraversò Elena. Quella voce… quel tono… lo conosceva. Doveva ricordare!
Ma nulla.
La memoria le stava giocando un brutto scherzo. Come trent’anni prima, quando la sua vita cambiò per sempre.
Era giovane allora, bellissima, piena di sogni. Era arrivata in città per studiare e costruirsi un futuro. Poi, un giorno, incontrò lui. Era il suo tutto. Si amavano, ne era certa.
Poi scoprì di essere incinta. Corse a casa per dirglielo. Ma nel letto c’era un’altra donna.
Il mondo le crollò addosso. Fuggì verso il fiume, si sdraiò sull’erba sotto il tramonto. Il sole divenne un’ombra, e poi… solo buio.
La trovarono il giorno dopo. Viva, ma cieca. Gli occhi spenti, la mente frantumata. Nessuno capì mai cosa fosse successo. E lei non ricordava. Neppure del bambino. Nulla.
Una vecchia incontrata in un rifugio le parlò di un villaggio, di erbe curative, di pace. Così Elena arrivò lì. Una capanna fatiscente. Ma era tutto ciò che aveva.
Iniziò da capo. Studiava piante, ascoltava storie, imparava a vivere senza vedere. E poi, iniziò a guarire gli altri.
Un giorno, un visitatore le portò un cucciolo: Barone. Da quel momento, divennero inseparabili.
Ma ora, quell’uomo… stava morendo. Elena preparò un infuso amaro.
— Beva. Finché sente l’odore, ha speranza. Quando svanisce… sarà troppo tardi.
L’uomo bevve, poi si distese.
Elena tolse il foulard e la giacca. Si sedette vicino a lui, posando la mano sulla sua fronte.
Un dolore lancinante attraversò i suoi occhi, come fuoco.
— Lena? — sussurrò lui.
Lei tremò.
— Aleksej?
— Ma… tu eri morta…
— Sono morta, sì. Quel giorno, vedendoti con un’altra, sono morta. E il nostro bambino con me.
— Lena… quale donna? Quale bambino? Io quel giorno non ero nemmeno in città! Avevo lasciato un regalo per te: quegli orologi antichi che tanto amavi…
Il dolore negli occhi svanì. Una pressione si sciolse. Le immagini, sfocate, cominciarono a delinearsi.
— Io vedo… io vedo!
Da quel momento, Elena si dedicò completamente a lui. Aleksej voleva vivere. Per lei.
— Abbiamo ancora tanti anni davanti, Lenka. Li affronteremo insieme.
Sorridendo tra le lacrime, lei curava ogni ferita. Credeva di aver dimenticato come amare. E invece…
Sofia, nel frattempo, tornava dall’estero. Cercava la guaritrice. Non sapeva che il suo “defunto” marito fosse ancora vivo.
Girava senza trovare la casa. Tutto era cambiato. Vide un’auto.
— Scusate! Qui c’era una guaritrice, la conoscete?
Il conducente tolse gli occhiali. Sofia sbiancò.
— Aleksej?!
— Che razza di scherzo è questo?
Dal sedile scese una donna. Elegante, sebbene non più giovane.
— Che ci fai qui?
— Tu… sei viva?
— Ho novant’anni, secondo te?
— Come hai fatto a sopravvivere?
— Magia, — rispose Aleksej ridendo.
— Ma i medici… dicevano sei mesi al massimo!
— Senti. Il documento del divorzio è sul tavolo. Il contratto di proprietà anche. La casa è tua. Ma i soldi? Scordateli.
— Non ti darò mai il divorzio!
— Sofia, svegliati. Sono già sposato da sei mesi. Con la donna che ho sempre amato.