Non sono riuscito a fermarmi. Ho tradito mia moglie.
Il nostro matrimonio era diventato un’abitudine, una sequenza di giorni identici, privi di slancio, di sorpresa, di quella scintilla che un tempo ci aveva uniti. Lei sempre indaffarata tra casa e bambini, io sempre più lontano, sempre più assente. Tornavo tardi, cercavo scuse per evitare i suoi occhi stanchi, quel silenzio pieno di cose non dette.
Poi è arrivata un’altra.
Una nuova collega, brillante, spensierata, senza legami o responsabilità. Rideva con leggerezza, mi ascoltava davvero, mi guardava come se fossi interessante, importante. Con lei mi sentivo vivo, diverso. All’inizio erano solo conversazioni sul lavoro, poi battute, poi messaggi, poi incontri fuori dall’ufficio. E poi bugie.
A mia moglie dicevo che avevo una riunione improvvisa, che il traffico era infernale, che ero esausto. E lei? Lei non mi chiedeva nulla. Forse aveva smesso di aspettarmi.
Per settimane l’ho corteggiata. Cene, passeggiate, sguardi rubati nei riflessi delle vetrine. Fino a quella sera in cui mi ha sussurrato:
— Vieni a casa mia.
E io sono andato.
È stata una notte di passione, di emozioni travolgenti, di un desiderio che credevo dimenticato. Ma quando all’alba ho aperto la porta di casa, la realtà mi è esplosa addosso.
Mia moglie era sveglia.
Era seduta sul divano, le mani in grembo, lo sguardo fisso su di me. Nessuna scenata, nessuna lacrima. Solo un silenzio pesante, che diceva più di qualsiasi parola.
Si è alzata con calma, mi ha superato e ha detto soltanto:
— Sono stanca.
Poi si è chiusa in camera.
Sono rimasto lì, fermo, con il senso di colpa che mi stringeva il petto. Sono andato in bagno, ho aperto l’acqua bollente e mi sono lavato, come se bastasse a cancellare quello che avevo fatto. Ma il tradimento non si lava via.
Quando finalmente l’ho raggiunta, dormiva ancora vestita. Sul comodino c’era il nostro album di fotografie.
L’ho aperto.
Ed eccola lì: la donna che avevo amato. Non quella silenziosa e distante di oggi, ma la ragazza che mi aveva fatto perdere la testa, che rideva spensierata tra le mie braccia. E accanto a lei c’ero io, con lo sguardo felice di chi ha tutto ciò che desidera.
Mi sono sentito un estraneo.
E per la prima volta, ho avuto paura.
Paura di averla persa.
Quella notte non ho dormito. Ho fissato il soffitto, tormentato dal rimorso. E poi, all’improvviso, una domanda mi ha trafitto: perché non provare a riconquistarla?
All’alba, mentre dormiva ancora, ho preso il telefono e ho chiamato mia madre.
— Puoi tenere i bambini questo weekend?
— Certo. Tutto bene?
— Spero di sì.
Poi sono andato in cucina e ho preparato la colazione.
Quando gliel’ho portata a letto, mia moglie mi ha guardato sorpresa.
— Perché?
— Perché voglio rivedere il tuo sorriso.
Non ha detto nulla. Ma nei suoi occhi ho visto una piccola crepa nel muro di freddezza che ci divideva.
Quel giorno l’ho mandata a rilassarsi in una spa. La sera l’ho portata a cena nel nostro vecchio ristorante, quello della nostra prima uscita. Il giorno dopo siamo andati a teatro, come facevamo quando bastava poco per essere felici.
Non ho mai più risposto ai messaggi della mia amante. Né alle sue chiamate.
Sapevo di aver commesso un errore imperdonabile. Ma quando, quella sera, ho visto mia moglie ridere di nuovo, ho capito che forse, solo forse, non era troppo tardi per tornare a casa davvero.