— Ho fame anch’io. potrei avere un pezzo? — chiese il ragazzino con tono timido, guardando Alena.

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Una giovane donna dai lineamenti delicati e dallo sguardo gentile si trovava accanto alla stazione, stringendo tra le mani un grande sacchetto colmo di cibo. Era lì quasi ogni giorno, pronta a prendersi cura dei cani randagi che popolavano quella zona. Alena li conosceva tutti, come vecchi amici incontrati mille volte.

— Vieni qui, piccolo, — disse con voce dolce, rivolgendosi a un cane nero con un orecchio strappato, sempre diffidente e solitario.

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Il cane si fermò, incerto, scrutando l’ambiente circostante come se temesse una trappola. Poi il profumo delle salsicce gli raggiunse il naso, superando la sua naturale diffidenza. Con movimenti lenti e guardinghi, si avvicinò.

— Bravo, così, — sussurrò Alena, porgendogli con calma un pezzo di cibo.

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Sorrise con soddisfazione quando lo vide afferrare il boccone e allontanarsi velocemente, come se temesse di essere cacciato via. Intorno a lei, altri cani aspettavano pazientemente, scodinzolando in segno di impazienza.

— Questo è per te… e questo anche per te, — mormorò mentre distribuiva i bocconi.

Conosceva ogni cane: il rossiccio dalla zampa zoppicante, il bianco a macchie che afferrava il cibo per poi sparire come il vento.

Quel giorno, però, qualcosa cambiò. Alena avvertì una presenza alle sue spalle, come se qualcuno la osservasse. Si voltò.

Dietro di lei c’era un ragazzino, non più di otto anni. Indossava una giacca sporca e troppo grande, che pendeva dal suo esile corpo come una coperta malmessa. Aveva il viso scavato dalla fame, ma nei suoi occhi brillava una forza ostinata.

— Signorina… — disse esitante, la voce fievole ma decisa.

— Sì? — rispose Alena dolcemente, abbassandosi per mettersi alla sua altezza.

Il bambino abbassò lo sguardo, poi prese coraggio e sospirò:

— Ho fame… posso avere qualcosa da mangiare?

Quelle parole la colpirono come un pugno al cuore. Per un attimo Alena rimase immobile, poi guardò il sacchetto tra le sue mani. Dentro c’erano solo pochi pezzi di pane e qualche salsiccia. Ma i suoi pensieri furono chiari: “Anche lui ha bisogno, come questi cani. Solo che appartiene a un branco diverso.”

— Certo, — disse porgendogli del pane con una salsiccia.

Il ragazzino afferrò il cibo e iniziò a mangiare lentamente, con movimenti cauti, come se temesse che qualcuno glielo portasse via.

— Vivi qui vicino? — chiese Alena con voce gentile.

Il bambino scosse la testa, evitando il suo sguardo.

— No… a volte qui fa più caldo, — mormorò con un filo di voce.

Alena osservò meglio i suoi vestiti: logori, pieni di strappi, le scarpe consumate fino quasi a non esistere più. Eppure il piccolo manteneva una postura fiera, come se non volesse mostrare la propria fragilità.

— Come ti chiami? — domandò con un sorriso rassicurante.

— Sergey, — rispose lui piano.

Intorno a loro la vita proseguiva frenetica, con gente che correva, parlava, andava per la propria strada senza notarli.

— Sergey, aspetta qui un momento, — disse Alena, porgendogli un altro pezzo di pane.

Il ragazzino lo prese con delicatezza, come fosse un dono prezioso che qualcuno avrebbe potuto portargli via.

Alena guardò il sacchetto ormai quasi vuoto e decise una cosa: non poteva lasciarlo lì, da solo.