Quando Lara è entrata nella mia vita, mi è sembrata la risposta a tutte le domande che non avevo ancora avuto il coraggio di fare. Intelligente, affascinante, spontanea. Dopo qualche mese di incontri, cene, weekend rubati al tempo, decidemmo di fare il grande passo: andare a vivere insieme.
C’era solo un piccolo dettaglio. Un dettaglio con il pelo lungo, gli occhi color ambra e un miagolio che sapeva leggere il mio umore meglio di chiunque altro: Teo, il mio gatto.
Teo era con me da dieci anni. Mi aveva accompagnato nei traslochi, nei cambi di lavoro, nei cuori spezzati e nelle notti silenziose. Non era “solo un animale”. Era casa. Era famiglia.
All’inizio, Lara sembrava accettarlo senza problemi. Lo accarezzava, gli parlava con quella voce dolce che si usa con i bambini. Ma dopo le prime settimane sotto lo stesso tetto, qualcosa cambiò. Cominciò a starnutire, ad avere gli occhi gonfi e la voce roca. Allergia, disse il medico. Allergia ai gatti.
“Dovrà andarsene,” disse Lara una sera, senza nemmeno alzare lo sguardo dal suo telefono.
“Chi?” chiesi, fingendo di non capire.
“Il gatto. Non respiro bene, dormo malissimo. Mi sta rovinando la salute.”
Provai a proporre soluzioni. Un purificatore d’aria, una stanza riservata a Teo, consultare un allergologo più esperto. Ma ogni mia parola rimbalzava contro il suo muro d’indifferenza.
“Non posso vivere con un animale in casa. Se mi ami, lo capirai.”
E fu lì che lo capii davvero. Non si trattava solo di allergia. Si trattava di spazio. Di confini. Di rispetto. Per lei, Teo era solo un ostacolo da eliminare. Per me, era parte del mio cuore.
La sera dopo, rientrando a casa, trovai una scatola vicino alla porta. Dentro, le sue cose. Lara aveva deciso prima ancora che io potessi rispondere.
Mi guardò come si guarda qualcuno che ha deluso.
“Scelgo me,” disse. “E tu hai scelto lui.”
“No,” risposi calmo. “Ho scelto noi. Quelli che non mi fanno scegliere tra l’amore e la lealtà.”
Lara se ne andò. Silenziosamente, come era arrivata.
Nei giorni successivi, casa mia tornò ad avere il suono dei passi leggeri di Teo, il suo sonno arrotolato sul divano, il suo sguardo saggio che pareva dirmi: Lo sapevo che non mi avresti lasciato.
Ci sono amori che chiedono spazio, e altri che ti fanno spazio. Io voglio il secondo tipo. E mentre sorseggio il mio caffè, con Teo accoccolato sulle ginocchia, sento che tutto è esattamente come deve essere.
E chissà… forse un giorno incontrerò qualcuno che, entrando in casa mia, dirà:
“Ma che bel gatto! Come si chiama?”
Solo allora saprò che è la persona giusta.