Stephen guardò Bob con uno sguardo di puro disprezzo, qualcosa che non avrei mai immaginato potesse provenire dall’uomo che una volta avevo amato con tutto il cuore. Le sue parole erano pugnali: “Non voglio più vedere quel bambino.”
Bob scoppiò a piangere, confuso e spaventato, e il mio cuore si spezzò per lui. Cercai di far ragionare Stephen, di fargli capire quanto stesse sbagliando, ma era irremovibile. Quella stessa notte raccolse le sue cose e ci lasciò. Nessuna spiegazione, nessun rimorso.
Nonostante il dolore, decisi di andare avanti. Bob aveva bisogno di me, e io di lui. Passarono mesi, e lentamente iniziammo a ricostruire le nostre vite. Ma il destino non aveva finito con noi.
Un giorno, mentre eravamo al supermercato, accadde qualcosa di inaspettato. Bob corse verso un uomo e gridò con entusiasmo: “Papà! Papà!” Mi girai e il mio stomaco si strinse. Era Stephen.
Ma il suo atteggiamento mi lasciò senza parole. Con una freddezza disarmante, si allontanò da Bob e gli disse: “Non chiamarmi così. Non sei mio figlio.”
La rabbia esplose dentro di me. Mi avvicinai a Stephen e, con tutta la dignità che potevo raccogliere, gli dissi: “Come osi? Bob È tuo figlio!”
Stephen scoppiò a ridere incredulo. “Non è possibile,” rispose con arroganza.
Con calma, tirai fuori il referto del test del DNA che avevo portato con me, un ricordo doloroso di un passato in cui avevo cercato disperatamente di convincermi che lui potesse cambiare. “Guarda qui,” gli dissi, puntando il documento verso di lui. “Questo prova che sei suo padre, nel sangue e nella responsabilità.”
Stephen rimase senza parole, il suo viso si contorse tra la rabbia e la vergogna. Ma non era più il mio problema. Mi voltai verso Bob, lo presi per mano e gli dissi: “Andiamo, amore. Non abbiamo bisogno di qualcuno che non sappia cosa significhi davvero essere una famiglia.”
E in quel momento capii che avevo finalmente chiuso il capitolo Stephen. Per sempre.