Lungo la strada, la ragazza si svegliò. Gli occhi sgranati, le labbra spaccate dalla sete. Cercò di alzarsi di scatto, ma Mikhail rallentò il camion e le parlò con calma.
— Tranquilla. Sei al sicuro adesso. Mi chiamo Mikhail. Ti porto a casa da mia madre, lei ti aiuterà.
La ragazza non rispose subito. Sembrava confusa. Infine, sussurrò con voce roca:
— Mi chiamo Lera… Per favore, non dire a nessuno che mi hai trovata.
Mikhail annuì, ma dentro di sé si accese un campanello d’allarme. Lera era in condizioni pietose: graffi, lividi, segni di legacci ai polsi. Qualcuno l’aveva tenuta prigioniera.
Alexandra, la madre di Misha, accolse la ragazza con premura. La lavò, le diede da mangiare, le offrì vestiti puliti e un letto.
Solo il giorno dopo, Lera iniziò a raccontare la sua storia. Venne fuori a brandelli, come una corda sfilacciata: era originaria della città, attirata con l’inganno in quella zona da un’amica conosciuta online. Una festa, poi droga, poi il buio. Si svegliò in una baracca in mezzo alla foresta, dove veniva sorvegliata da due uomini. Erano bracconieri, ma anche trafficanti di donne. Avevano altri piani per lei, ma Lera riuscì a scappare durante la notte. Correva a piedi nudi nella foresta da ore quando i lupi l’avevano trovata.
— Se non fosse stato per quel lupo… e per te… — disse a Mikhail, tremando.
Mikhail non disse nulla. Ma quella notte, non riuscì a dormire. Sapeva di dover fare qualcosa. Non era solo per giustizia — era qualcosa di più profondo. Qualcosa che lo legava a quella foresta, ai suoi silenzi, ai suoi pericoli… e a Gray.
Con l’aiuto di Petya, il suo amico della segheria, Misha segnalò l’accaduto alla polizia locale, ma in modo discreto: temeva che ci fossero infiltrazioni o corruzione. Usarono un contatto fidato di Alexandra — un ex magistrato in pensione, ora consulente legale — per presentare una denuncia riservata e fornire un primo identikit dei sospetti.
Nel frattempo, Mikhail si avventurò di nuovo nella foresta. Portò con sé Gray, sperando che il lupo potesse guidarlo verso la baracca di cui parlava Lera.
E Gray non lo deluse.
Ci vollero due giorni di perlustrazioni e campeggio improvvisato. Alla fine, trovarono la baracca. Era nascosta in una depressione del terreno, quasi invisibile dalla strada principale. Vuota. Ma dentro c’erano segni chiari: corde, una vecchia brandina, una siringa sporca, resti di cibo.
Misha fece fotografie con il cellulare e inviò tutto al contatto legale. Due giorni dopo, un’operazione speciale fece irruzione nel campo base dei bracconieri, a soli venti chilometri da lì. Oltre a Lera, si scoprì che altre due ragazze erano riuscite a fuggire mesi prima, ma le loro denunce non erano mai state prese sul serio.
Questa volta fu diverso. Grazie alle prove raccolte da Mikhail e al suo coraggio, la giustizia fece il suo corso.
Lera restò nel villaggio per qualche mese. Ricostruì se stessa a piccoli passi, con l’aiuto di Alexandra, del silenzio dei boschi e della gentilezza di uno sconosciuto. Tra lei e Mikhail nacque qualcosa di profondo, ma fragile. Non una storia d’amore da favola — almeno non subito — ma un legame vero.
Ogni tanto uscivano a camminare tra gli alberi. Gray li accompagnava, tranquillo e vigile, come un guardiano antico.
Una sera d’autunno, mentre le foglie cadevano leggere, Lera si fermò e disse:
— Se non fosse stato per te… oggi non sarei viva.
Mikhail sorrise, senza falsa modestia. Guardò Gray che annusava l’aria, poi disse:
— Non è solo merito mio. La foresta… ti ha protetta.
E forse era vero. Perché anche nei luoghi più oscuri, a volte, c’è chi ascolta il grido di chi ha perso la via. Anche se ha quattro zampe e ulula alla luna.
Fine.
Se vuoi, posso espandere la storia in un racconto lungo o trasformarla in una sceneggiatura.