La suocera mi ha umiliata davanti ai parenti, ma non sapeva che io ero la sua nuova capa al lavoro.

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— Andrea, forse oggi non è il giorno migliore per andare a trovare tua madre, — disse Marina con cautela, osservando il marito che, davanti allo specchio, si abbottonava la camicia nella loro camera da letto.

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— Su, non esagerare, cara. La mamma ci aspetta, ha preparato una cena speciale, — sorrise Andrea, incrociando il suo sguardo nello specchio. — Sai quanto le fa piacere vederci.

Marina soffocò un sospiro. Forse a vedere Andrea sì, pensò amaramente. Per lei, invece, ogni visita era una sfida: un’ospite tollerata più per dovere che per affetto. — Certo, — forzò un sorriso, prendendo dall’armadio un vestito elegante. — Solo che domani ho una riunione importante, volevo prepararmi meglio.

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Andrea si voltò verso di lei; i suoi occhi castani brillavano di quella tenerezza che un tempo aveva sciolto il suo cuore.

— Solo un paio d’ore, promesso. Poi ti aiuto con tutto, — disse, avvicinandosi per accarezzarle con dolcezza la spalla. — Di che incontro si tratta? Non me ne hai parlato.

Marina si bloccò mentre si abbottonava la blusa. La verità le tremava sulle labbra, ma non era ancora il momento. — Nulla di speciale, — mentì, distogliendo lo sguardo verso lo specchio per nascondere il rossore. — Riorganizzazione interna, nuovi incarichi.

Durante il tragitto in macchina, Andrea mise la loro canzone preferita. Marina, però, era troppo assorta nei suoi pensieri per ascoltarla davvero. Nella sua mente risuonavano ancora le parole del direttore: — Signora Marino, lei ha dimostrato grandi capacità. Abbiamo appena acquisito la “PrintRus” e ci serve una persona competente per la riorganizzazione. Se la sente?

All’inizio non aveva capito: solo sfogliando i documenti aveva riconosciuto il nome della piccola tipografia dove la suocera aveva lavorato per tutta la vita, orgogliosa del suo ruolo di contabile.

La macchina si fermò davanti a un palazzo familiare.

— Eccoci arrivati, — annunciò Andrea spegnendo il motore.

Salire fino all’appartamento della suocera era sempre una prova di resistenza per Marina. Ogni gradino sembrava avvicinarla a un tribunale silenzioso. Sentì il solito nodo serrarsi nello stomaco.

— Hai una faccia come se stessi andando al patibolo, — rise Andrea, stringendola a sé. — Dai, mamma non morde.

— No, — ripeté Marina con un sorriso teso. — Si limita a ricordarmi ogni volta i miei difetti.

Andrea si rabbuiò.

— Esageri. È solo… della vecchia scuola. Vuole il meglio per noi.

Il campanello trillò nella casa.

Pochi secondi dopo, la porta si aprì rivelando Vittoria Pavoni — elegante, impeccabile, con lo sguardo acuto di chi non si lascia sfuggire nulla.

— Andreino! — esclamò spalancando le braccia, come se non lo vedesse da mesi, quando invece si erano incontrati appena una settimana prima.

Poi il suo sguardo scivolò su Marina, e il sorriso si fece più rigido. — Marinella, spero tu abbia fame. Ho preparato una bella cenetta.

Marina annuì, sentendo quasi fisicamente il peso della cartella di documenti rimasta a casa: quella che avrebbe cambiato tutto.

— Grazie mille per l’invito, Vittoria.

Mentre varcava la soglia, una consapevolezza la colpì: forse quello sarebbe stato l’ultimo giorno in cui Vittoria Pavoni la guardava dall’alto in basso. E il pensiero le diede una forza nuova.

L’appartamento era un piccolo santuario sovietico: una grande credenza carica di cristalli, statuette di porcellana, tappeti appesi alle pareti.

Nonostante il modesto stipendio, Vittoria sapeva creare un’impressione di ordine e prosperità.

In salotto c’erano già diversi parenti: la sorella di Vittoria con il marito, il fratello con la moglie e due giovani nipoti, Costantino e Alessia. Si voltarono tutti quando Andrea e Marina entrarono. — Ecco i nostri sposini! — esclamò la zia, ignorando il fatto che erano già sposati da tre anni. — Venite, è tutto pronto!

A tavola, la conversazione ruotava inizialmente su temi innocui: il tempo, la salute, le ultime notizie.

Marina sedeva accanto ad Andrea, dispensando sorrisi di circostanza e brevi commenti.

— E il lavoro, Andreino? — chiese la zia Nina. — Si dice che l’edilizia vada a gonfie vele!

Andrea, entusiasta, iniziò a parlare dei suoi progetti, mostrando foto dal cellulare. Tutti si mostravano sinceramente interessati. Poi lo zio Paolo si rivolse a Marina:

— E tu, cara? Sempre nella stessa azienda?

Marina si irrigidì. Sempre lo stesso copione.

— Sì, — rispose pacata. — Stiamo seguendo progetti molto interessanti.

Vittoria, mentre versava del succo, emise un sonoro “hmm”.

— Interessanti, eh? — commentò, posando rumorosamente la caraffa. — Dalle tue parti bastano due numeri e una presentazione ben fatta!

Un mormorio divertito attraversò la tavolata.

Marina arrossì. — In realtà, il nostro è un reparto analitico, — replicò. — Non ci limitiamo a spostare cifre a caso.

— Oh certo! — esclamò Vittoria, portandosi teatralmente la mano al petto. — Dimenticavo che ora ogni neolaureato è un esperto analista.

Noi vecchi contabili, invece, cosa possiamo capire?

Marina abbassò lo sguardo, contando mentalmente fino a dieci. «Ancora un po’,» si disse.

— Ho sentito che la tua azienda si sta fondendo con un’altra, — intervenne Costantino. — È vero?

— Sciocchezze, — liquidò Vittoria con un gesto della mano. — Qualche chiacchiera da corridoio per spaventare gli investitori.

— E i dipendenti? Che ne sarà? — chiese Alessia.

— Niente. Senza di me, quella tipografia cade a pezzi! — proclamò Vittoria con fierezza.

Marina osservava in silenzio, sentendo crescere dentro di sé una strana emozione, un misto di amarezza e dolce soddisfazione.

— E se arrivasse un nuovo capo? — insistette Costantino.

— Manderanno qualche ragazzino raccomandato! — sbottò Vittoria. — Me li mangio a colazione, questi sapientoni da ufficio.

Poi, con fare mieloso, si rivolse a Marina:

— Marinella, non prendertela. Ma ti consiglio qualche corso di aggiornamento. Sai… per il futuro. Se, Dio non voglia, Andrea dovesse perdere il lavoro…

Scoppiarono alcune risatine.

Marina strinse il tovagliolo sotto il tavolo, ma si limitò a sorridere freddamente. — Grazie per il consiglio.

— Di niente, tesoro. Siamo una famiglia.

— La prossima settimana devo consegnare il bilancio trimestrale, — proseguì Vittoria. — Se vuoi ti mostro come lavorano i veri contabili!

Marina sorseggiò il vino.

— Purtroppo la prossima settimana ho altri impegni, — disse fissandola negli occhi. — Ma sono certa che il bilancio sarà perfetto. Come sempre.

Il sorriso di Vittoria si incrinò per un istante.

— Naturalmente, — rispose subito. — Io non sbaglio mai.

— Benissimo, — brindò Marina. — Alla professionalità!

I bicchieri tintinnarono, ma nessuno notò il sorrisetto sottile che le sfuggì. «Presto, Vittoria Pavoni. Molto presto capirai quanto seriamente prendo il mio lavoro,» pensò, bevendo un altro sorso.

Il grigio edificio della tipografia sembrava ancora più decadente dal vivo: vernice scrostata, odore di inchiostro e polvere.

Marina percorse il corridoio accanto al direttore, sentendo il cuore rimbombare nel petto.

— È nervosa? — chiese lui.

— Un po’, — ammise.

— Se la caverà benissimo, — la rassicurò.

Davanti alla sala riunioni, Marina fece un respiro profondo. «Adesso o mai più.»

Le porte si aprirono.

Dentro, tra tanti volti ansiosi, Marina riconobbe subito la sagoma familiare di Vittoria Pavoni, seduta in prima fila.

E sapeva che, da quel momento in poi, nulla sarebbe più stato come prima.

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