Desidero condividere un racconto personale, accaduto a me e a mio marito durante le nostre ferie estive. È una vicenda che ben illustra il proverbio popolare: “Non scavare una fossa per gli altri, o finirai per cadervi tu stesso”. Ciò è particolarmente vero se a osservare è una donna silenziosa ma attenta.
Immaginate la nostra emozione: dopo sette anni senza poter ammirare il mare, finalmente arrivava l’occasione. Diverse volte i nostri piani sono stati mandati all’aria: nipotini ammalati, lavori incessanti nell’orto, e la pressione di mio marito che peggiorava. Alla vigilia della partenza, la mia schiena era provata dalle fatiche del terreno, e pregavo soltanto: «Signore, concedimi almeno questa volta di raggiungere il mare». Chi coltiva un orto comprenderà bene cosa intendo. I nostri figli, come regalo per il nostro anniversario di matrimonio, ci hanno donato un soggiorno in un albergo in Turchia.
La gioia era immensa: una stanza con vista sul mare, il tramonto che tingeva i nostri momenti serali, un tè caldo sul balcone e un libro in mano – per noi, era la felicità assoluta. Dopo anni di sacrifici e rinunce, bastava poco per sentirci come in paradiso.
Tuttavia, la serenità non dura mai a lungo. Il disturbo proveniva dalla camera accanto.
Una giovane coppia: lui coperto di tatuaggi e muscoli, lei minuta, con labbra evidenti e sempre presa dal cellulare. Dal primo giorno ci rendemmo conto che la vacanza avrebbe avuto un sapore diverso. Passavano ore a scattarsi selfie sul balcone, con una musica così forte da far vibrare i vetri. Le note basse rimbombavano come martelli e avrei voluto tappare le orecchie con la cera.
Inizialmente tentai di fare buon viso a cattivo gioco: “Sono ragazzi, cosa posso aspettarmi?” Ma la loro sfacciataggine cresceva ogni giorno di più. Dal balcone iniziarono a prendere in giro noi senza alcun rispetto.
- «Oh, guardate i vecchietti col tè!» – sibilava lei.
- «Ecco il nonnino con il giornale! Chi mai legge un giornale nel XXI secolo?» – rideva lui.
Ma non era finita. Anche al ristorante continuavano a seguirci come un’ombra fastidiosa. Io e Mykola ci sedevamo tranquilli in un angolino, con pollo bollito e verdure, scambiandoci poche parole. Loro invece facevano un gran chiasso, mangiando fritti e inzuppando ogni cosa nella maionese.
- «Stas’, guarda! Pollo bollito, sembra un ospedale!» – scrosciante risata di lei.
- Lui, battendo sul tavolo con le dita: «È la dieta dei centenari! Così dureremo a lungo e daremo fastidio ai nipoti!»
Mio marito stringeva la forchetta con la mano che tremava dalla rabbia.
— «Galia, basta! Li affronto!» disse deciso.
— «No, Mykola» lo calmavo «Non vale la pena. La tranquillità mentale è più importante. Lasciali nella loro maleducazione.»
Credevo di avere ragione, ma non immaginavo che la situazione sarebbe peggiorata.
Una sera, mentre stavo scattando una foto a un fiore di ibisco con il mio vecchio cellulare, li sentii ridere di nuovo:
«Stas’, guarda! La nonnina che immortala la natura morta! Sicuro posterà: “Buona giornata a tutti!”»
La mia mani tremavano, non per l’età, bensì per la collera. Non stavano schernendo semplicemente la fotografia: prendevano in giro la mia vita, le piccole gioie conquistate con fatica tra orti, conserve, e le notti passate a vegliare mio marito malato.
In quel momento, la paziente Galia si dissolse. Al suo posto subentrò un’altra versione di me: acuta, pronta e determinata. Non urlai, non mi abbassai a rispondere con lo stesso tono. Attesi con calma.
Il destino fu dalla mia parte.
Più tardi, sul balcone, udii Stas’ parlare al telefono:
«Dimon’, supera il recinto vicino ai campi da tennis, lì non ci sono telecamere. Ti facciamo entrare dall’ingresso di servizio. Gratis: cibo, bevande. Niente braccialetto, l’importante è non farsi scoprire.»
Un gelo mi attraversò le vene. Non erano solo maleducati, ma anche piccoli truffatori! Subito capii il piano: semplice, legale e letale.
Appena usciti, corsi alla reception con aria preoccupata e dissi al manager:
«Mi scusi, ho visto una persona sconosciuta scavalcare il recinto… mi sono spaventata, potrebbe essere un ladro.»
La macchina di sicurezza si mise in moto velocemente: allarme, manager e vigilanza intervennero prontamente. Io tornai serena in camera, misi a bollire l’acqua e dissi a Mykola:
«Prepara la tazza, lo spettacolo sta per cominciare.»
Non passò molto che la sicurezza condusse nell’hotel un ragazzo spettinato con uno zaino, accompagnato dal manager, diretto verso la stanza dei nostri vicini.
Ci affacciammo sul corridoio come spettatori in teatro. Bussarono con forza e Stas’ aprì la porta, ancora sicuro di sé, con indosso degli shorts. Ma quando videro il suo amico nascosto, il sorriso svanì immediatamente.
— «Era uno scherzo, solo un amico! Non è niente di grave!» balbettò lui.
Lei, isterica, gridava di avere un padre procuratore e minacciava azioni legali per diffamazione.
La direzione, però, non fece sconti: gli estranei non potevano entrare in hotel. Punto.
Mezz’ora dopo, i nostri vicini lasciavano la struttura, valigie in mano, scortati dal personale di sicurezza.
Passando sotto il nostro balcone, lei non poté trattenersi:
«Vecchia strega, hai fatto la spia! Spero tu ti strozzassi col tuo tè!»
Alzai la tazza, sorseggiai lentamente, e il tintinnio della porcellana sembrò più sonoro di mille applausi.
Mykola mi abbracciò alle spalle, sorridendo, e sussurrò:
«Galia, non sei solo mia moglie… sei il feldmaresciallo Kutuzov in gonnella.»
Rimanemmo lì, avvolti nel silenzio e nel profumo del tè, finalmente padroni della nostra tranquillità.
Conclusione: Questa vicenda dimostra come la pazienza e la saggezza possano prevalere sulle sfide più sgradevoli. A volte, osservare con calma e intervenire al momento opportuno rappresenta la strategia migliore per ristabilire il rispetto e la serenità. Anche nelle situazioni più spiacevoli, mantenere la calma e agire con intelligenza permette di tutelare la propria pace senza scadere nelle provocazioni.