Quando la mamma se ne andò, il padre rimosse tutte le sue fotografie per non doverle più vedere. Non sopportava osservare il piccolo Massimo di sette anni, fermo davanti a quei sorrisi immobili, mentre il suo labbro inferiore tradiva un tremito e lacrime silenziose ma così amare gli scendevano sulle guance.
Il bambino era abbastanza grande per sapere che gli uomini non devono piangere. Tuttavia, il suo cuore, spezzato in mille pezzi, soffriva intensamente ogni volta che ricordava il calore materno, la voce dolce e lo sguardo affettuoso.
Passò un anno e lentamente la memoria del volto della madre si fece sbiadita, trasformandosi in una vaga macchia luminosa. Di tanto in tanto, le sue immagini gli apparivano vivide nei sogni: così reali che, al risveglio, Massimo percepiva ancora per qualche istante quel calore vicino al cuscino. Ma poi l’immagine svaniva, lasciando spazio all’alba fredda e a un senso di vuoto insopportabile.
Massimo si rannicchiava nella vecchia poltrona, stringendo nelle mani il crocifisso della mamma, appeso a una sottile catenina — l’unico ricordo rimasto. A bassa voce, implorava il silenzio: «Mamma, ti prego, non andare via per sempre… torna!».
Ma il silenzio rimaneva immutato.
«Il silenzio è assordante quando il cuore cerca conforto».
Una sera, mentre suo padre stava distrattamente aprendo della posta, annunciò quasi senza guardarlo:
«Massimo, sto per partire per una lunga trasferta, tutta l’estate. Andrò da tua zia, in campagna.»
Massimo conosceva poco della zia, sapeva solo che ogni anno riceveva una pacchetto da lei, durante capodanno o al suo compleanno. Sul robusto cartone della scatola si leggeva con una calligrafia accurata: «Tanya Matveevna Egorova, villaggio di Aleksandrovka». Da lì provenivano profumi di mele essiccate, cipolle e qualcosa di legnoso e sconosciuto.
Il viaggio verso Aleksandrovka durò due ore. Solitamente silenzioso e introverso, il padre questa volta parlava senza sosta del suo passato, raccontava di quand’era ragazzo in quel villaggio e di come, a tredici anni, dopo la morte della nonna, si fossero trasferiti in città.
«Piangevo come un vitello», ricordava con una risata amara, scorrendo distrattamente i messaggi sul telefono. «Non volevo partire; là avevo amici… e una ragazza rossa con le lentiggini, Katja. Provai anche a scappare, prese i soldi dai miei, arrivai alla stazione ma la bigliettaia non volle vendermi il biglietto e chiamò la polizia. Mi riportarono a casa. Pensavo mi castigassero, ma invece mio padre mi diede una pacca sulla spalla e disse che avevo un cuore d’uomo, che ero nel giusto. Non sono più tornato.» Poi aggiunse: «Incontrai tua mamma, e tutto quello che era prima svanì.»
Massimo ascoltava in silenzio, mentre cresceva in lui un nodo di ansia nel petto. Quel luogo era nuovo per lui, doveva vivere con persone estranee. Ma ciò che lo inquietava di più non era la novità in sé, bensì l’insolita loquacità del padre, che in passato, dopo la perdita della madre, si era chiuso in un silenzio quasi pietrificato. Adesso le parole si riversavano come un fiume impetuoso, come se temesse che il silenzio facesse emergere domande senza risposta.
La zia Tanya si rivelò sorprendentemente simile al padre: magra, con la schiena dritta come una freccia e capelli cortissimi color paglia. Li accolse sullo storico portone di legno, braccia incrociate, con uno sguardo freddo che scrutava Massimo dalla testa ai piedi.
«Avanti, entra», mormorò, conducendoli in un’entrata odorosa di latte fresco e erba di campo. «Pranzi?»
La zia li nutrì con un ricco borsch e piccoli fagottini dorati, ripieni di patate e… uova e cipolle. Massimo detestava le uova; il loro odore gli provocava nausea. Timido e imbarazzato, ingoiò a fatica, sottraendo di nascosto i pezzetti sgraditi con la forchetta e gettandoli a terra sotto il tavolo, sperando che la zia non se ne accorgesse. Purtroppo, non c’erano gatti in casa a mascherare il suo piccolo segreto.
La zia si mostrava distaccata, quasi gelida nei confronti di Massimo, come se fosse un oggetto ingombrante invece di un bambino in carne e ossa.
Nei momenti di solitudine, quando la nostalgia della mamma e della casa diventava insopportabile, Massimo sentiva un desiderio profondo di abbracciare quella donna asciutta e severa. Chiudere gli occhi e immaginare che fosse la sua mamma. Ma l’odore che emanava la zia non era quello della sua mamma, ma quello del fumo, della legna e di qualche erba amara.
Una notte, dopo un incubo, corse da lei piangendo disperato. Ma Tanya Matveevna non rispose con dolcezza; lo rimproverò duramente e lo rimandò a letto. Disse che non esistono streghe, e che doveva smettere di lamentarsi. Massimo si rifugiò sotto le coperte, stringendo il crocifisso della mamma, ripetendo fino a quando le lacrime cessarono: «La mamma è con me, la mamma mi proteggerà.»
La zia sembrava sempre scontenta di lui.
«Che circus è questo?» sbottò una volta, cogliendolo a rovistare nel fagottino.
Il cuore di Massimo si strinse; con un filo di voce confessò: «Io… non mangio uova.»
«Perché mai?»
«Hanno un cattivo odore.»
Tanya scosse la testa con aria di disapprovazione. «Sciocchezze. Le uova fanno bene, sono proteine e vitamine. Mangia.»
Massimo chinò il capo, sentendo le lacrime imminenti. Sperava solo di non piangere, di non essere chiamato piagnucoloso un’altra volta.
- Solitudine e difficoltà nell’accettare un ambiente nuovo
- Il desiderio di sentirsi accolto e amato
- La lotta per mantenere i propri gusti e limiti in un contesto ostile
Non avendo molto da fare, Massimo finì in pochi giorni i libri che suo padre gli aveva portato, troppo semplici per la sua età. Tanya, notando la sua noia, gli propose di conoscere i bambini del villaggio. Ma il primo incontro si concluse con una rissa, e da quel momento Massimo preferì restare lontano da tutti.
«Antisociale, proprio come tuo padre», borbottò la zia vedendolo con un ginocchio graffiato. «Sempre nei guai da piccolo.»
«Non sono antisociale! Lui si comportava male!» si difese furioso Massimo.
«E tu?» rise sdegnata. «Un telefono è solo un pezzo di ferro. Devi saper condividere. Vai e chiedi scusa.»
«Non voglio!»
«Ti dico di chiedere scusa!»
Quella volta non pianse, ma un’ondata di rabbia ardente lo invase. Capì allora perché la zia viveva da sola: chi avrebbe amato una donna tanto dura? Persino un gatto non c’era in casa. Quando strinse forte il crocifisso in tasca, un’insolita calma gli tornò.
Quella sera Tanya disse improvvisamente: «Puoi prendere i libri sugli scaffali bassi in salotto, forse troverai qualcosa di più interessante dei tuoi fumetti.»
Massimo esitava ad avvicinarsi all’antica libreria, avendo già provato a prendere un tomo antico con scritte dorate, e la zia lo aveva rimproverato con grande durezza. Ora, con permesso, si immerse volentieri tra gli scaffali e scelse un libro sottile e consumato dalla copertina intitolato “Il leone, la strega e l’armadio”.
Lo divorò tutta la sera: il magico mondo di Narnia lo incantò, e per la prima volta dopo mesi la sua anima rimase libera dalle lacrime.
La mattina seguente, speranzoso, chiese: «Zia Tanya, c’è un seguito?»
Lei esaminò la copertina: «Credo di sì.»
«Dove si trova? Sullo scaffale?»
«Non ce l’ho», rispose secca.
Massimo sospirò profondamente.
«Non lamentarti tanto! Prendi un altro.»
Senza insistere, raccolse “I tre moschettieri”, ma la lettura lo annoiò e uscì a prendere una boccata d’aria.
All’entrata della casa c’era un grosso gatto randagio, dagli occhi fieri, anche se uno era opaco e il pelo arruffato. Massimo si innamorò immediatamente di quel dignitoso amico, che gli rispose con un lento e rauco ronron.
«Hai fame?» sussurrò il bambino.
Il gatto gli sfregò il muso umido sulla mano.
«Aspetta, ti porto qualcosa.»
Rispose alla zia: «Posso avere del latte o un pezzetto di salame? Per il gatto, è tutto solo e magro fuori.»
Tanya uscì, osservò l’animale e storse il naso.
«Un randagio malato. Ti morderà e ti contagierà la rabbia! Via di qui!» fece cenno con un piede senza colpirlo, ma chiarendo bene le sue intenzioni. Il gatto sbuffò e con dignità si ritirò tra i cespugli.
Massimo capì che avrebbe dovuto agire di nascosto. Nei giorni seguenti, gli portò avanzi del suo pasto, che il gatto divorava volentieri e accettava le carezze dietro l’orecchio rovinato.
Decise di chiamarlo Ammiraglio.
Da allora, quel gatto divenne il suo compagno inseparabile. Passavano ore insieme, seduti sul vecchio tronco nel giardino, Massimo gli raccontava libri, paure e dubbi e domandava come convincere il padre a portare l’Ammiraglio in città.
Un giorno, rovistando tra i libri, trovò un’intera serie di C.S. Lewis: “Il Principe Caspian”, “Il Viaggio dell’Aurora”… Saltò dalla gioia.
«Zia, sono i seguiti!» esclamò, correndo in cucina con i volumi.
Lei scrollò le spalle mentre mescolava la marmellata: «Sì, li ho ordinati ieri.»
Entusiasta, Massimo la abbracciò con gratitudine, premendo la guancia sul suo grembiule di tela grezza.
Ma la zia si ritrasse, rigida come una statua, sussurrando: «Non essere invadente, vai a leggere.»
Immerso nella lettura, Massimo, per alcuni giorni, dimenticò persino l’Ammiraglio. Ma quando una pioggia incessante colpì il villaggio, si preoccupò per il gatto, che continuava a lamentarsi sulla veranda.
«Zia Tanya, possiamo farlo entrare? Solo in veranda, per favore! Si bagnerà e si ammalerà!»
Si aspettava un rifiuto, ma Tanya sospirò e acconsentì: «Va bene, ma controlla che non combini guai.»
Il gatto, fradicio, si avvolse in un piccolo cerchio sul vecchio zerbino.
Ora era un ospite silenzioso ma tollerato in casa, educato e discreto.
Inaspettatamente, da quel momento i fagottini erano solo di patate, senza uova, cosa che Massimo apprezzò molto.
Tanya sbuffava spesso quando guardava il gatto, e una volta fu sorpresa a lanciare un boccone di salame ad Ammiraglio con un sussurro scherzoso.
L’arrivo improvviso della tragedia colpì Massimo come un fulmine: Ammiraglio scomparve e poi fu ritrovato senza vita dietro la sauna. Pensò subito al peggio: «Zia l’ha avvelenato! Me l’aveva detto!» scoppiò in lacrime, urlando accuse e rabbia.
Tanya però lo guardò con occhi stanchi, pieni di un’antica e profonda tristezza, ripetendo: «Ti avevo avvertito.»
Si alzò, prese una pala e uscì nel giardino. Massimo la seguì, vedendo come scavava una fossa accanto ai cespugli di lamponi. Rientrò in casa, prese una scatola di cartone robusta e adagió dentro il corpo del suo amico con cura.
Silenziarono la sepoltura, posarono una pietra piatta e decorata sulla tomba, e Massimo raccolse fiori autunnali per abbellirla.
Fu allora che scorse altre lapidi curate vicino a quella di Ammiraglio.
«Cosa sono?» chiese, con il cuore che gli batteva forte.
«Tombe», rispose curtamente Tanya.
«Di chi sono?»
«Di quelli che amavo.»
Massimo rimase senza fiato, quasi voleva gridare accusando Tanya. Ma le parole si bloccarono nella gola, mentre lei si sedette su una pietra muschiosa, incoraggiando un racconto doloroso.
A sedici anni, Tanya ammetteva di essere stata crudele e cieca, senza pensare alle conseguenze. Raccontò la storia di Polina, una compagna di scuola chiamata “la pazza” per via della sua diversità, e di suo fratello Gennadii, che sembrava alieno, malato e tormentato da ossessioni.
Una volta, esasperata, sfogò su di lui una tempesta di insulti irripetibili. Poco dopo, Gennadii annegò, e Polina accusò Tanya di averci messo una maledizione, scatenata dalla nonna, una presunta strega.
Tanya aveva deriso queste accuse, ma da allora qualcosa si era rotto per sempre.
Con voce rotta, raccontò delle sue perdite: il cane Mirka, il gatto Moschettiere e soprattutto la sua piccola figlia Alice, morta prima di un anno — ufficialmente per problemi cardiaci, ma per Tanya non era stato un caso.
Guardando Massimo con occhi pieni di una sofferenza infinita, confessò che adesso credeva nella maledizione e non cessava di pentirsi.
«Avrei voluto solo chiedere perdono!» esclamò Massimo, ricordandosi le parole della zia.
«Sì, hai ragione», rispose tristemente, «ma un semplice scusa non basta. Ci vuole un sacrificio importante, che io non posso più offrire… lei è morta in povertà e freddo, senza nessuno ad aiutarla.»
Si alzò bruscamente e si allontanò verso la casa senza voltarsi, lasciando Massimo solo tra le pietre silenziose e il sussurro del vento autunnale.
Il giorno seguente accadde un miracolo: il padre tornò inaspettatamente.
«Allora, te la sei cavata? Prepara le valigie, si torna a casa!»
Massimo si sentì sollevato e dimenticò per un momento la zia e la sua storia dolorosa.
Ma al momento dei saluti, gli salì un nodo in gola. Si avvicinò esitante a Tanya, ignaro di cosa dire, quando lei lo abbracciò improvvisamente con forza e lo baciò sulla guancia.
«Grazie per averci fatto visita», sussurrò con voce finalmente calda e gentile. «Stammi bene.»
Sulla strada del ritorno, il padre sembrava strano, agitato ma vivace, cantando e chiedendo incessantemente come fosse andata l’estate.
«Passiamo dal cimitero?» propose all’improvviso, prendendo una strada familiare.
«Perché?» chiese sorpreso Massimo.
«Là riposa mio fratello e tuo cugino. Non li hai conosciuti, erano ancora bambini. Mio fratello Sasha è morto più tardi durante una battuta di caccia. Raramente vengo qui, è ora di far visita.»
Il cuore di Massimo si serrò: aveva finalmente capito. Tanya non era sorella di suo padre, ma la vedova del fratello defunto, madre del piccolo cugino. La sua solitudine assumeva un significato nuovo, cupo e definitivo.
Mentre il padre sistemava le recinzioni delle tombe curate di “Alexander” e “Alice”, Massimo vagò per i vialetti stretti del cimitero senza paura, conversando mentalmente con la madre: «Mamma, aiutami. Cosa devo fare?»
Il suo sguardo si posò su due modesti ma ben tenuti monumenti accanto a Polina e Gennadii, con nomi e patronimici corrispondenti. Il cuore gli batteva forte mentre un raggio di sole filtrava tra i rami dei pini illuminando la pietra grigia.
Prese il crocifisso della mamma, il tesoro più caro e l’unico legame con un passato felice ormai svanito, e lo depose ai piedi della tomba di Polina.
«Perdonatela», sussurrò tremante, «perdonate zia Tanya. Non voleva fare del male. Soffre tanto. Questa è la mia offerta, il dono più prezioso: il crocifisso di mia madre, tanto amata e perduta. Io la amo e la zia Tanya soffre, è sola. Prendete questo crocifisso e spezzate la maledizione, vi prego.»
Non arrivò risposta, solo il frusciare del vento tra le fronde.
Nel viaggio di ritorno il padre mise una mano sulla sua spalla: «Massimo, devo dirti una cosa. Ho conosciuto una donna, Nadia. Ci siamo sposati. Vuole conoscerti.»
Il mondo di Massimo crollò di nuovo, questa volta per sempre. Annuito silenzioso, ingoiando le lacrime, mormorò un indifferente «Bene».
Nadia era l’opposto di Tanya: sorridente, chiacchierona e dolce. Lo sommerse di regali e carezze, anche se invadenti. Dimenticava spesso che lui non mangiava uova, e si offendeva quando rifiutava le sue omelette.
«Ma come puoi fare così? Ho aggiunto verdure e funghi!»
«Non mangio uova!» ribadiva Massimo, sentendosi colpevole.
Al giorno dopo la scena si ripeteva.
Dopo due mesi, quando cadde la prima neve, lo sedettero sul divano e con gioia gli comunicarono:
«Avrai una sorellina!»
Massimo comprese tutto: i suoi peggiori timori si stavano realizzando; non era più necessario. Tirò fuori un sorriso forzato e disse: «Che bello! Posso avere un gattino per il mio compleanno?»
«Che gattino? Sono tutti portatori di allergie! Tuo padre è allergico!» scattò Nadia.
Il padre alzò le mani in segno di resa.
Per il suo compleanno ricevette un nuovo telefono, finse entusiasmo, ma il regalo più prezioso fu quello della zia Tanya: un libro di Harry Potter. Lo divorò in due giorni e chiese un seguito.
«Lo compreremo a Natale, un regalo perfetto!» promise Nadia.
In quel momento la figura di Tanya Tanya si fece nitida nella mente di Massimo: lei non si era mai dimenticata di lui, inviava regali e attenzioni. E loro? L’avevano mai pensata?
«Papà, quando è il compleanno di zia Tanya?»
«Eh… credo il cinque dicembre. Dovremmo mandarle un biglietto.»
Ma per Massimo non bastava un semplice biglietto. Aveva un piano.
Come uno spia esperta, con l’aiuto di un compagno di classe esperto di viaggi in autobus, rubò la carta bancaria del padre durante la cena, acquistò online due biglietti per Aleksandrovka — per sé e per il padre — e prese un gattino rosso da un mercato di animali, chiedendo all’amico di tenerlo per una notte.
Il cinque dicembre, fingendo di andare a scuola, prese il gattino e partì per la stazione. Il cuore gli batteva all’impazzata mentre l’ispettore del bus gli chiedeva dove fossero i genitori: «Là tra la folla, li raggiungo subito!» mentì, salendo di corsa.
Era il viaggio più spaventoso e al contempo elettrizzante della sua vita.
Nevicava ad Aleksandrovka, e il gattino sotto la giacca lamentava un piccolo pianto. Una gentile signora gli mostrò la via ed egli rallentò i passi vicino alla casa conosciuta. Temeva che Tanya si arrabbiasse o lo scacciasse.
Ma quando lei aprì, il suo volto si illuminò di gioia e sorpresa, così intensa che Massimo quasi piangeva.
«Massimo! Dio mio! Sei solo? Sei ghiacciato! Entra subito! Chiama il papà! Ma cos’è questo?» fissava il soffice fagottino sul suo petto.
«È per te, un regalo. Buon compleanno», rispose a fatica Massimo.
Si fissarono intensamente, e Tanya sospirò: «Ho sognato Polina. Sorrideva e mi salutava. Ma ho ancora paura… non ce la faccio…»
Massimo sorrise ampiamente, senza bisogno di forzature.
Tanya prese il gattino, lo accarezzò e abbracciò forte Massimo in modo materno.
«Rossetto… grazie, tesoro.»
Il padre gli rimproverò per l’iniziativa, ma nei suoi occhi c’era anche un rispetto velato.
«Sta crescendo un vero uomo», disse a Nadia, «Lo lascerò andare dalla zia per le vacanze invernali, a trovare Rossetto.»
«Come puoi! Deve essere punito!» protestò la matrigna.
«È mio figlio e ha fatto ciò che riteneva giusto, per una persona cara. Nostra figlia avrà il miglior fratello del mondo.»
Nel letto, Massimo stringeva tra le dita un’immagine nuova: quella della mamma diventata angelo custode, e della zia dal cuore gelido che finalmente si era sciolto. Sapeva che sotto la pietra fredda del cimitero riposava il crocifisso materno, il prezzo più prezioso pagato per l’amore e la possibilità di essere amati. Una delle più oneste transazioni della sua vita.
Conclusione: Questa storia commovente insegna come la perdita, la solitudine e il rimorso plasmino le persone con emozioni profonde. Attraverso la resilienza, il coraggio e piccoli gesti d’amore, anche un bambino può ritrovare speranza e riconciliazione con il proprio passato e il proprio futuro.