Quando la suocera invade la casa: una convivenza da incubo trasformata in libertà

Dopo dieci anni passati in appartamenti in affitto, con lavori continui dai vicini e un soffitto che perdeva acqua, finalmente avevamo comprato una casa. Non grande né lussuosa, ma la nostra.

I primi a trasferirsi sono stati suocero e suocera.

“Che soggiorno accogliente!” esclamò lei, ma subito la sua espressione cambiò. “I colori della carta da parati sono troppo scuri e i pavimenti scricchiolano. Bisogna rifarli.”

Con un dito intento a indicare, passeggiò per tutta la casa:

  • “La cucina è piccola e gli elettrodomestici sono vecchi.”
  • “E questa piastrella nel bagno? Non è affatto alla moda!”

“Mamma, siamo appena arrivati,” cercò di intervenire mio marito.

“E allora? Meglio sistemare tutto subito!” ribatté decisa.

Entrò quindi nella stanza che chiamavamo “ospiti”.

“Che stanzetta è questa?” sbuffò. “Non ci sta nemmeno un armadio, il letto è vecchio e la finestra piccolissima.”

“Pensavamo fosse comoda per voi,” balbettai.

“Comoda? Non c’è nemmeno un materasso decente!”

Poi si diresse nella nostra camera da letto e si sdraiò subito sul letto.

“Oh, che comodo! Qui dormirò io.”

“Mamma, quella è la nostra stanza,” disse mio marito con cautela.

“Io ho la pressione alta, il cuore ballerino, ho bisogno di riposo! Non riesco a dormire nel soggiorno, il divano è duro e il televisore si sente dalla stanza accanto.”

Stavo stringendo i pugni.

“E noi dove dormiamo?” chiesi tra i denti.

“In soggiorno c’è spazio! Siete giovani, potete anche dormire sul pavimento!” fece lei con noncuranza.

Da quel momento intervenne la voce del suocero:

“Quando mangeremo? Ho il diabete, devo seguire una dieta precisa! E poi un bicchierino non guasta, fa bene ai vasi sanguigni.”

Controllai l’orologio: erano le quattro del pomeriggio.

“Non abbiamo ancora fatto la spesa…” iniziavo a dire.

“Come non avete fatto?!” si indispettì lei. “Non sapevi che saremmo venuti? Mio marito ha bisogno di cibi speciali: cereali, verdure, carni dietetiche!”

“E anche del succo senza zucchero,” aggiunse il suocero. “Ma in caso, anche con zucchero va bene, prendo una pastiglia.”

Guardai il frigorifero, pieno di viveri per una settimana. Dopo solo due ore non restava più nulla. Nonostante il diabete, il suocero divorava patate fritte con lardo, schioccando le labbra:

“Che tempismo! Se no avreste mangiato tutto voi.”

Poi trovò una bottiglia di cognac pregiato, regalo dei vicini per la casa nuova.

“Che fortuna!”, esclamò. “Il medico dice che a piccole dosi fa bene.”

“Ma prendi le medicine!” protestò la suocera.

“Io però non tutta la bottiglia!” si offese lui.

In verità non finì una bottiglia: ne bevve quasi tutta, la suocera terminò il resto per “non farla sprecare”.

Il giorno seguente, dopo che suocero e suocera avevano ormai occupato la nostra camera da letto, svuotato il frigorifero e bevuto il cognac, suonò il campanello di nuovo.

Sulla porta c’erano il fratello di mio marito, la moglie, due bambini superattivi e un enorme Labrador.

“Ciao! Siamo venuti per una settimana!” annunciò con gioia, portando in casa tre valigioni, una bicicletta e un sacco di cibo per cani.

“Dove dormiremo?” domandò subito la cognata, osservando la casa con uno sguardo critico.

“Cosa c’è per cena? Siamo affamati dopo il viaggio!” aggiunse il fratello.

“Bau! Bau!” fece il cane, saltando subito sul nostro nuovo divano.

Guardai mio marito in silenzio. Lui si grattò nervosamente la nuca:

“Beh… non potevamo dire di no…”

La suocera uscì dalla nostra (ormai sua) camera:

“Oh, avete portato anche il cane! Che carino! Ma non lo fate entrare nella mia stanza, ho l’allergia.”

La cognata subito rassicurò:

“È molto educato! Quasi non perde pelo e sporca solo quando è nervoso.”

I bambini correvano per il soggiorno e il cane stava felicemente mordicchiando la gamba del nostro tavolino.

“Spero non vi dispiaccia che il cane dorma in casa, non lo mettiamo alla cuccia!” disse il fratello mentre sistemava le ultime valigie, contenenti una collezione di videogiochi e qualche maglietta.

Guardai il frigorifero vuoto, la nostra camera occupata dalla suocera, il divano dove io e mio marito ci arrangiavamo e il nuovo “ospite” che stava per mettere le zampe sulla mia nuova camicetta…

“Cosa c’è da mangiare?” chiesero i parenti.

“Ieri mamma e papà hanno svuotato il frigorifero e oggi non sono ancora andata a fare la spesa.”

“Non hai fatto la spesa per tutti?” si infuriò la suocera, rigirando una forchetta in un barattolo quasi vuoto di cetrioli sottaceto.

Stringevo un pacchetto di dolci: il mio unico dolcetto, acquistato “per il tè”.

“Non sapevo che sareste rimasti così a lungo.”

“Come non sapevi?!” sbuffò la suocera. “Una famiglia non può venire solo per poco?”

Quella sera mi rinchiusi in bagno, feci scorrere l’acqua e per la prima volta in tanto tempo mi lasciai andare a un pianto sommesso.

La cucina era un luogo di litigi rumorosi: suocero ubriaco chiedeva la sua dose di salamoia, la suocera urlava che non doveva, ma poi versava un po’ “per alleviare”. Mio marito bisbigliava “Resisti, presto se ne andranno”.

Ma io avevo ormai capito: non sarebbero mai partiti.

Come se fossimo diventati loro schiavi gratuiti:

  • La mattina cucinavamo la colazione per otto persone (incluso il cane).
  • Durante il giorno facevamo spesa tre volte al giorno per evitare che gli ospiti restassero affamati.
  • La sera pulivamo dopo le “modeste” cene, quando il suocero chiedeva il bis e i bambini spalmavano purè sui muri appena imbiancati.

Dopo sette giorni controllai i nostri conti:

  1. Tutta la mia retribuzione.
  2. I risparmi per le vacanze al mare.
  3. Il fondo di emergenza.

Quando con timidezza chiesi agli ospiti di contribuire alle spese, la suocera si indignò:

“Siamo famiglia! Non viviamo in un albergo!”

Il tutto era reso ancora più surreale da situazioni come:

  • La suocera e la cognata che discutevano su quali tende mettere nel mio soggiorno.
  • I bambini che disegnavano con pennarelli sui muri mentre la madre diceva: “Sono bambini creativi!”
  • Il cane che dormiva sul mio cuscino mentre io e mio marito ci arrangiavamo in un lettino pieghevole nell’armadio.

Un “meraviglioso” giorno, mentre lavavo i piatti dopo l’ennesimo pranzo a otto persone e mio marito correva per la terza volta al giorno a comprare il pane improvvisamente finito, realizzai che la situazione non poteva più andare avanti.

Mi svegliai alle cinque del mattino sentendo il labrador che masticava il mio ultimo calzino. La nostra piccola stanza di servizio, dove io e mio marito eravamo ammassati da due settimane, puzzava di umido e disperazione.

In cucina la suocera già sbatteva pentole:

“Preparami il caffè, ho la pressione alta.”

Guardai mio marito, che evitava il mio sguardo.

Non poteva continuare così.

Entrai nel soggiorno dove i bambini disegnavano sui muri e il cane rosicchiava il mio libro preferito. Presi una scopa e… BAM – colpii il tavolo.

Silenzio.

“Basta!” dissi decisa.

La suocera alzò gli occhi al cielo:

“Oh, cosa non va adesso?”

“Tutti voi fuori. Ora. Subito.”

I gridi di protesta iniziarono:

  • “Non abbiamo i biglietti!”
  • “E il cane?”
  • “Ho il diabete, non posso stressarmi!”

Presi il telefono:

“Il taxi arriva tra venti minuti. Voi andate alla stazione, il cane al canile.”

Il suocero si fece pallido:

“Sei impazzita? Siamo famiglia!”

“No. La famiglia non si comporta come uno sciame di locuste.”

Mio marito provò a intervenire:

“Forse non è necessario uno strappo così netto…”

Mi girai verso di lui:

“Scegli: o loro o io.”

Scelse me.

Dopo tre ore la casa era vuota, con sul pavimento solo le tracce delle valigie, una macchia di cognac versato e… silenzio.

Mi sedetti sul divano (il mio divano!) e chiusi gli occhi.

Finalmente eravamo di nuovo a casa nostra.

Una settimana dopo, squillò il telefono. Sul display compariva scritto “Suocera”. Inspirai profondamente e risposi.

“Beh, congratulazioni!” disse con voce velenosa. “Ora tutta la famiglia è offesa. Non verremo mai più da voi!”

Sorrisi involontariamente, guardando le pareti pulite e il mio divano, dove finalmente potevo stendermi in pace.

“Grazie per l’avviso,” risposi calma. “Proprio volevo dirti che cambieremo le serrature.”

La voce dall’altra parte si strozzò indignata: “Come osi! Siamo famiglia!”

“La vera famiglia non si comporta come un esercito di occupazione,” replicai. “E non svuota il frigorifero come una mandria di locuste.”

Seguì un lungo silenzio, poi un sospiro di scherno:

“E vivete pure nel vostro pollaio! Non porteremo più né briciole né aiuti!”

“Lo promettete?” non resistetti a un sorriso.

Riagganciai. Guardai mio marito in cucina, che teneva due tazze di tè.

“Mamma?” chiese appoggiando una tazza davanti a me.

“Promette che non verrà più,” dissi prendendo la tazza calda.

Si sedette di fronte, finalmente rilassato dopo tanto tempo. “Sai… penso che dovremmo andare in vacanza. Solo noi due.”

Tesi la mano verso la sua. Fuori cinguettavano gli uccelli, in casa si sentiva il profumo del tè appena preparato e… la libertà.

“Sai qual è la cosa più divertente?” dissi dopo una pausa. “Loro credono davvero che questa sia una punizione.”

Ci scambiammo uno sguardo e scoppiammo a ridere, per la prima volta dopo settimane, sincere e leggere.

Conclusione: Questa storia mette in luce come la convivenza forzata e invadente con parenti poco rispettosi possa trasformare un ambiente domestico sereno in un campo di battaglia. La protagonista ha affrontato pressioni, invadenze e mancanze di rispetto, fino a trovare il coraggio di porre un limite netto per riconquistare la propria casa e la propria libertà. È un promemoria dell’importanza di stabilire confini sani nelle relazioni familiari per preservare la pace e il benessere personali.

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