Il lungo viaggio di ritorno che ha cambiato tutto
Ho trascorso quasi tre anni lontana dall’Ucraina, vivendo all’estero nella casa di mia figlia Ania, che ormai da tempo si è stabilita in Francia. Mio figlio Andriy e la sua famiglia sono rimasti invece nella nostra città natale, Zaporizhzhia. Durante la mia assenza, lui si è preso cura del mio piccolo appartamento, un monolocale che è stato per me un rifugio per decenni, un luogo in cui ho trovato conforto dopo tante tempeste della vita.
Quegli anni passati in emigrazione si sono rivelati difficili, ma al contempo pieni di calore umano. Ho dato una mano a mia figlia e a suo marito: andavo a prendere i nipoti a scuola, preparavo i pasti e mantenEvo ordine. La loro casa è spaziosa e le faccende da fare sembravano infinite. Ania e suo marito erano impegnati quasi tutto il giorno, e io sentivo la mia presenza utile, una fonte di energia per tutti.
Durante una cena, in modo del tutto inaspettato, mio genero Filipp, sempre cortese ma un po’ distaccato, affermò con decisione:
«Ania ed io abbiamo parlato a lungo. Ora a Zaporizhzhia la situazione è più serena. Pensiamo che sia arrivato il momento per te di tornare a casa.»
Quelle parole mi colsero di sorpresa: come se il terreno sotto i miei piedi si fosse improvvisamente dissolto. Non contestai; non volevo creare tensione. Forse davvero era arrivato il momento. Feci le valigie, presi il biglietto e rientrai in Ucraina, senza immaginare che mi attendeva una prova ancora più dura.
Entrata nel mio appartamento, provata dal viaggio, la prima immagine che vidi fu Andriy seduto sul mio divano, come se fosse sempre stato lì.
«Andriy?» esclamai incredula.
Scoprii che durante la mia assenza la sua vita aveva subito una svolta radicale. Dopo il divorzio dalla moglie, aveva lasciato a lei l’appartamento e si era trasferito nel mio. Ma le sorprese non si fermavano qui.
In casa c’era anche un’altra donna, Ira, sconosciuta a me. Lui spiegò che era la sua fidanzata e che aspettava un bambino da lui. Guardandola, non riuscivo a capire: perché nessuno mi aveva avvisato? Perché non ero stata coinvolta, nemmeno per una parola?
«Figlio, non hai pensato che forse sarebbe stato meglio almeno una telefonata?», chiesi cercando di mantenere la calma.
«Mamma, non c’eri. Non volevamo disturbarti. Non avevamo altri posti dove andare,
» rispose lui con un tono quasi distaccato.
«Ma questa è casa mia e ora mi sento un’estranea», sussurrai.
Andriy mi guardò contrariato:
«Ira è la mia famiglia. Qui vivremo insieme.»
Così, in un attimo, il mio appartamento, un tempo rifugio di serenità, si trasformò in una prigione dove ogni giorno devo lottare per uno spazio personale, rispetto e la semplice possibilità di esistere.
Ho sperato che Ania potesse sostenermi. L’ho chiamata per confidarle il mio dolore e la speranza di un possibile ritorno in Francia, anche solo per breve tempo.
La sua risposta è stata gelida e distante:
«Mamma, sei già andata via. Ci siamo abituati alla nostra vita. Mi dispiace, ma non potrai tornare.»
Attualmente dormo in cucina su un letto pieghevole che ogni sera monto tra il tavolo e il frigorifero. La mattina lo tolgo per non disturbare. Ira, pur essendo incinta, si comporta come se lei fosse la padrona incontrastata della casa. A volte mi sembra che stiano lentamente spingendo via me, l’ospite non desiderato nella mia stessa dimora.
- Per evitare sguardi giudicanti, durante il giorno cammino per la città.
- Provo a cercare qualche piccolo lavoro per guadagnare un po’ di indipendenza, ma a questa età è quasi impossibile trovare un impiego, nemmeno part-time.
Di recente ho avuto un’idea: perché Andriy e Ira non potrebbero andare a vivere dai suoi genitori in un villaggio? Lì è più spazioso, l’aria è buona e per il bambino sarebbe un ambiente migliore. Quando ne ho parlato con Andriy, però, la sua reazione è stata infuocata:
«Sei seria? Come potrei recarmi al lavoro? Là nemmeno il segnale internet funziona bene!»
Mi sento senza via d’uscita. Non desidero il conflitto, ma vivere in queste condizioni è diventato per me insostenibile. Ogni giorno mi domando: quanto ancora riuscirò a sopportare? Da dove troverò la forza per ricostruire la mia vita dopo i sessant’anni, quando non sono più benvenuta neanche nella mia casa?
In conclusione, questa esperienza racconta con forza le difficoltà dell’invecchiamento e del rientro in un ambiente che cambia radicalmente. La convivenza forzata con nuove realtà familiari, la ricerca di un ruolo e di uno spazio proprio diventano sfide che toccano profondamente l’anima di chi torna dopo un lungo tempo lontano. La storia mette in luce quanto sia importante il rispetto e la comunicazione nelle famiglie, specialmente in momenti così delicati come il ritorno a casa.