I miei figli sono convinti che, nella mia vecchiaia, debba essere io a occuparmi di loro. Un’idea che non è nata da loro, ma da come li ha cresciuti il loro padre.
La mia vita, un tempo, sembrava perfetta. Avevo sposato un uomo benestante, non ho mai conosciuto il bisogno. Mio marito, Mykhailo, gestiva un’attività redditizia: importava auto dall’estero, le sistemava e le rivendeva. Grazie al suo lavoro, non ho mai dovuto cercare un impiego. Mi dedicavo alla casa e ai nostri figli.
Anche loro, sin da piccoli, hanno vissuto in abbondanza. Non conoscevano limiti. Se desideravano qualcosa, la ottenevano. Vacanze al mare? Concesse. L’ultimo modello di telefono? Regalato. Quando sono diventati adulti, il padre ha comprato loro un appartamento ciascuno e ha organizzato matrimoni da sogno. Tutto era dato, mai guadagnato.
Ma quell’educazione, col tempo, si è rivelata un boomerang.
Almeno al padre portavano rispetto. Con me, invece, erano esigenti e sprezzanti. Non contribuivano in nulla alla casa, ma pretendevano che cucinassi, lavassi, riordinassi… come se fossi la loro domestica, non la madre.
Poi, all’improvviso, Mykhailo è morto. E in un attimo, i nostri figli si sono trasformati. Non ho fatto in tempo a piangerlo che già discutevano su come dividersi i suoi beni. La casa dove vivevamo è stata la prima a sparire: l’hanno venduta senza esitazione.
— A cosa ti serve una casa così grande? Non è merito tuo, ma di papà! — mi hanno detto, quasi accusandomi di aver vissuto a scrocco.
Con quei soldi si sono comprati delle auto. Io sono finita per strada. Una cara amica mi ha offerto un letto e un consiglio: partire. E così ho fatto.
Sono tre anni che vivo in Italia. Assisto un’anziana signora e curo la sua casa. È un lavoro onesto e dignitoso. Ogni centesimo che guadagno lo metto da parte per il mio futuro, per avere almeno una piccola sicurezza.
Qui ho trovato una nuova famiglia: donne ucraine, forti, generose, molte provenienti dalla mia stessa regione. Eppure, non sono più tornata a casa. Non ne sento il bisogno. Non c’è più nulla lì per me. Nemmeno a Natale.
Qualche giorno fa, mio figlio mi ha chiamata dopo tanto tempo. La sua attività è fallita, è pieno di debiti. E ha pensato bene che toccasse a me rimediare.
— Papà ci ha sempre aiutati. Tu, mai. Almeno ora potresti fare la tua parte! — mi ha urlato al telefono.
Gli ho risposto con calma, ma con fermezza:
— Non ho alcun debito con voi. Sono i figli che dovrebbero preoccuparsi dei genitori anziani. Ma se voi pensate solo a voi stessi, allora anch’io penserò a me.
Da allora, silenzio totale.
Fa male. Perché una madre non smette mai di amare, anche quando viene tradita. Ma ho imparato che l’amore non basta. Ora penso a me, al mio domani. Perché so che da loro non arriverà nulla.
Mi chiedo spesso: ho fatto bene? O sono diventata egoista anche io?