Un Incontro Inaspettato: Incontri con il Passato

Vadim entrò nella sala conferenze con quella tipica e quasi innata sicurezza che caratterizzava ogni suo movimento. Per lui, era un rituale consolidato: un completo costoso, le spalle lievemente curve a causa della stanchezza, mentre il suo sguardo scrutava l’ambiente come un preciso scanner. Un altro incontro, un’altra operazione, un ulteriore passo verso la cima di una scalata costruita sopra contratti intricati, decisioni fredde e un controllo impeccabile. Qui, si sentiva a casa—un luogo dove ogni oggetto aveva la propria collocazione, dove nell’aria si percepiva l’odore del legno pregiato, del marmo lucido e dell’aroma di espresso caldo, preparato appositamente per persone come lui—quelli che sostengono il mondo tra le loro mani.

Disbottonò la giacca, spingendola all’indietro come per affermare la sua autorità. Si stava preparando a sedere al capo del tavolo—il punto da cui si diramano le decisioni, dove si forgiano i destini aziendali. Ma, in quel momento, il suo sguardo scivolò involontariamente verso la finestra e si bloccò.

Là, vicino alla vetrata panoramica, c’era lei.

Una donna che si fondava con il panorama cittadino come un’ombra evocativa. Oltre il vetro, la città appariva fumosa, sfocata, come immersa in acque grigie, e lei stava immobile, quasi scolpita nel metallo. Un rigoroso completo grigio, perfettamente adattato alla sua figura; capelli raccolti in uno chignon impeccabile, nessun ciuffo fuori posto. La sua postura era eretta; il suo passo—sicuro, gelido, professionale. Ogni aspetto di lei sembrava estraneo. O forse, troppo familiare per non esserlo.

Poi—una leggera rotazione della testa. Appena percettibile. E quella stessa lentiggine sul suo collo, proprio sotto la linea dei capelli, un piccolo punto nero sulla mappa della sua memoria. Il cuore di Vadim si contrasse. Non per paura. Non per rabbia. Ma per qualcosa di più profondo e ancestrale—dalla realizzazione che il passato che credeva sepolto stava solo fingendo di esserlo.

Lena.

Il nome gli penetrò nel petto come un gelo acuto. Rimise a fuoco il suo sguardo, come se il parquet dei suoi piedi si fosse trasformato in colla, immobilizzandolo. Il tempo sembrava compattarsi in un masso denso, rallentando, fermandosi. Ogni secondo si allungava nell’eternità. Domande affollavano la sua mente: Cosa ci fa qui? Avvocato? Consulente? Rappresentante? Le informazioni sull’incontro erano state scarne, senza nomi: “rappresentante del cliente.” Il suo cliente. Niente nomi. Nessun avviso. Solo lei. E lui.

Ed ecco che si voltò.

Si incrociarono gli sguardi—non come ex amanti, né come nemici, ma come estranei che si trovano a incrociarsi nel corridoio del destino. Nei suoi occhi non c’era dolore. Nessuna lacrima. Nessun accenno di rancore. Non una goccia di rabbia. Solo vuoto. Freddo, limpido, come ghiaccio lucido nelle latitudini polari. Senza riflessi. Senza ombre. Senza passato.

Annui. In modo cortese. Freddo. Con la stessa indifferenza che lui stesso usava per impartire istruzioni ai suoi subordinati: “Non è personale. Solo affari. Le emozioni non contano.” Quel gesto, quel cenno, era peggiore di un urlo. Peggiore di un colpo. Peggiore di un’accusa. Perché conteneva nulla. Solo professionalità. Solo distanza. Solo una conclusione.

Le negoziazioni ebbero inizio.

Vadim cercò di ritrovare la calma. Presa la cartella tra le mani, schiarì la gola, e cominciò a parlare—sui tempi, i numeri, le strategie. La sua voce suonava uniforme, ma egli percepiva l’artificiosità in essa. L’alienazione. Come se qualcun altro stesse parlando per lui. Si accorse di non ascoltare le risposte, ma osservare lei. Studio. Ricerca. Cercando di scoprire in quella donna la Lena di un tempo: dolce, tremolante, con occhi pieni di fiducia, con un sorriso tremante di gioia ogni volta che lui entrava nella stanza. Quella che lo guardava come se fosse un eroe. Un universo.

Ora, davanti a lui si ergeva un’estranea. Forte. Gelida. Impenetrabile.

E poi, lei parlò.

La sua voce—quieta, calma, ma ogni sillaba cadeva come una goccia di mercurio su un vetro—pesante, precisa, lasciando il segno.

Parlò di sfumature legali, condizioni di mercato, i punti deboli nella sua posizione. Parlò in modo brillante. Senza esitazione. Senza emozione. Come se stesse dissezionando una partita a scacchi che aveva già vinto mentalmente.

Ma Vadim ascoltava qualcos’altro.

Sentiva l’abbattimento della porta di quel minuscolo appartamento “comunale

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