Una promessa tra dolore e speranza
– Andrej, ti prego… promettimi che non lascerai sola Larisa, – mormorava Nina dal letto, la voce fragile come un lieve soffio di vento ma carica di suppliche. – Sai quanto sia delicata. Ha bisogno di attenzioni continue… So che è complicato, ma temo che da sola non ce la farà. Sarai il suo tutore per altri due anni… prenditi cura di lei, ti prego. Per lei… e anche per me.
Andrej annuiva, serrando le mascelle per non mostrare il tumulto interiore. Serrava tra le dita la mano ossuta di Nina, che sembrava quasi trasparente, mentre all’esterno celava un’apparente calma. Dentro invece ribolliva un desiderio intenso: libertà. La conclusione di quell’incubo e il principio di una nuova esistenza.
Quando Nina si era ammalata, la notizia lo aveva colpito duramente. Aveva dato fiducia ai medici, sperando in una guarigione possibile. Corse da specialisti diversi, importò medicinali, divorò libri medici. Tuttavia, col trascorrere del tempo, la speranza si era dissolta come neve al sole. Era sopraffatto: stanco degli ospedali, degli odori pungenti del disinfettante, delle notti interrotte dai colpi di tosse. E in modo particolare, stanco di Larisa.
Residente sotto lo stesso tetto ma simile a un’ombra, Larisa non era sua figlia, non lo era mai stata. Era un peso silenzioso imposto dal destino. Non la detestava, ma neanche amava: soltanto una fatica che consumava l’anima. Nella mente risuonava un pensiero fisso: “Ho una sola vita. Voglio viverla pienamente.”
Andrej considerò di lasciare Nina. Tuttavia, abbandonare una moglie morente avrebbe significato condanne sociali, accuse da familiari e vicini. Nessuno gli avrebbe perdonato un simile gesto. La svolta si ebbe quando il medico dichiarò: “Non più di un anno.” Andrej si preparò a resistere, come si affronta un dolore temporaneo in attesa della cura. Ciò che contava era l’eredità: un appartamento di quattro stanze, ricevuto da Nina dal suo primo marito. Una dimora in città, un tesoro – la porta verso un futuro differente.
Larisa rappresentava un fastidio secondario: una ragazzina fragile e malata, estranea a quella vita. «Liberarmene senza sporcarmi le mani è possibile», meditando spesso Andrej. Un istituto, una casa di riposo, un sanatorio… o ancora meglio, una dimora in campagna. Lì sarebbe svanita senza sollevare domande, e non sarebbe morta in casa sua.
I funerali di Nina furono frettolosi e senza calore. Pochi fiori, poche presenze. Gli amici e i famigliari si erano ormai allontanati. Andrej non desiderava lacrime o nostalgie, solo chiudere quel periodo.
Quel giorno stesso incontrò Liza, giovane e brillante, il cui sorriso sembrava illuminare l’ambiente. Era sola, abbandonata dal compagno che l’aveva lasciata senza nemmeno i soldi per il taxi. Fermò un’auto alzando il pollice, e per caso Andrea era il conducente. Un incontro fortuito che portò a conversazioni leggere e a ripetuti incontri. In breve tempo, Liza si trasferì nel suo appartamento.
Con Liza, Andrej ritrovava la gioia persa: risate, camminate, la sensazione di essere di nuovo vivo. Tuttavia, una presenza si frapponeva continuamente: Larisa. A tavola, muto con lo sguardo sfidante e sarcastico, rendendo complicato godere la nuova serenità.
Un giorno Liza lo costrinse a prendere una decisione:
– O agisci, o me ne vado.
– E cosa dovrei fare? – replicò lui con amarezza.
– Non potresti… liberartene? – suggerì lei sottovoce.
Andrej spalancò gli occhi, ma lei scoppiò a ridere.
– Tranquillo, sto scherzando. Però non mi avevi detto che Larisa possiede una casa in campagna?
Così si delineò un piano. Far credere che il medico avesse prescritto “aria pura e sole”. Trasferirla in quell’antica casa, ingaggiare una donna che se ne prendesse cura… e poi sparire. Il resto lo avrebbe deciso il destino.
Dopo tre giorni, ogni cosa era sistemata.
– Larisa, andiamo in campagna, – annunciò Andrej.
– Campagna? Perché?
– Il medico ha detto che l’aria fresca ti farà bene.
– Quel dottore si chiama Liza, vero? – rispose sarcastica.
Lui si oscurò.
– Perché la tratti così? Vuole solo il tuo bene.
– Sì, certo… hai dimenticato mia madre in fretta.
Andrej non replicò, si limitò a guidare.
Il viaggio fu lungo e durante una sosta una vecchina si avvicinò a Larisa per offrirle delle erbe. Osservò Andrej e disse con calma:
– La tua malattia non si cura con le erbe.
– Quale malattia? – rispose lui infuriato.
– Codardia e avidità.
Andrej mormorò un insulto e distolse lo sguardo. Poco dopo, quella stessa anziana, priva di dimora, accettò di accompagnarli e prendersi cura di Larisa. Si chiamava Aljona.
Lasciò quindi la ragazza in campagna, affidandola alle mani rugose di quella sconosciuta. Non si voltò nemmeno quando l’auto si allontanò.
Larisa fissava la polvere sollevata dalla partenza.
– È venuto qui a lasciarmi per morire, non per guarire, – disse con un sorriso amaro.
– Morire? Vedremo, ragazza mia. Ho visto peggio tornare in piedi, – rispose la vecchia.
Così iniziò un’esistenza nuova. La quiete della campagna, il canto degli uccelli, il profumo del pane che Aljona impastava ogni mattina. Larisa, stanca e diffidente, trovò conforto in quella presenza materna. Un giorno le fu consegnata una bambola, con dentro una mazzetta di soldi nascosta.
«Con questo possiamo vivere», sussurrò.
«Vivere? Basterà per anni», rise Aljona, «e pianteremo un orto».
Gradualmente Larisa riprese forza. L’appetito tornava, la vitalità aumentava. Usò il lago come confidente dove, per la prima volta dopo anni, versò lacrime di speranza anziché dolore.
Un ragazzo del villaggio, Dima, portava latte fresco e la guardava con occhi pieni di cura. Insieme a lui e ad Aljona, Larisa riscoprì il piacere semplice della vita.
Dopo due anni, Andrej, afflitto dai debiti, pensò finalmente di vendere quel vecchio casale dimenticato. Partì con Liza, convinto di trovare solo rovine. Ma una volta arrivati, videro il camino fumare e le vie innevate perfettamente pulite.
– Non sembra affatto abbandonato, osservò Liza.
Mentre discutevano, due figure apparvero sugli sci: un giovane e una donna. Larisa, più forte e più viva che mai.
– Guardate chi c’è! Il caro patrigno con la sua ragazzina, – disse lei con ironia.
Andrej rimase senza parole.
– Larisa! Ma tu…
– Pensavi fossi morta? Deluderti sarà un piacere. Tra due mesi compio diciotto anni, preparate le valigie e andate via dalla nostra casa.
Il giovane accanto a lei fissava Andrej con uno sguardo severo. Liza prese il braccio del compagno e lo condusse via verso la macchina. Andrej restò in silenzio, incapace di reagire. I suoi progetti, la sua brama, tutto era crollato in un attimo.
Dalla porta uscì Aljona, asciugandosi le mani sull grembiule:
– Oh, siete tornati? Ho appena sfornato una pila di frittelle. Forse era solo il vento che faceva rumore, – disse mentre Larisa le passava accanto baciandola sulla guancia.
– Sì, sarà stato il vento. Non badarci. Vieni, andiamo a mangiare le tue frittelle. Sai quanto le adoro.
La porta si chiuse alle loro spalle, segnando la rinascita di chi, contro ogni aspettativa, aveva finalmente ottenuto la vita negata.
In sintesi, questa vicenda testimonia come anche nelle situazioni più difficili possa nascere una rinascita inattesa. Larisa, inizialmente abbandonata e destinata all’oblio, ha scoperto in campagna una nuova famiglia e la forza di vivere. La decisione di Andrej ha invece subito una svolta definitiva, mostrando come scelte guidate da egoismo e paura possono venire ribaltate dalla forza della speranza e del cambiamento.